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Un po’ a sorpresa

Agosto, autostrada di ritorno dal nulla cosmico dei Pirenei.
“Ma nell’assurdo caso un giorno avessimo un figlio, tu come non lo chiameresti?”
‘thieu ci pensa un secondo.
“Se fosse un maschio non lo chiamerei né Ryan né Kevin. Sicuramente non Kevin. Senti come suona, non siamo mica degli Americani! Bleurk!”
Koris ridacchia pensando alla scena di “Viaggi di nozze“.
“Ma perché me lo chiedi? Pensi che…”
“Ma figurati, con quello che è successo ad aprile?”
“Però…”
“Nah, vai tranquillo”

Tranquillo, già. Koris non ci credeva nemmeno per sbaglio che potesse succedere qualcosa, del resto l’esperienza non giocava a suo favore. Forse era meglio lasciare che la medicina se ne occupasse, era già previsto di muovere almeno qualche passo su quella strada. La natura aveva già riservato sorprese spiacevoli. O forse era il caso di farsene una ragione e lasciar perdere, si è una famiglia anche in due.

Era un sabato 3 settembre quando Koris stava facendo pulizie in una casa che assomigliava più a un set di un film horror che altro… e ha dovuto sedersi altrimenti sarebbe crollata per terra. Priva di energie, con nessunissima voglia di rialzarsi. “Vabbè, ci sono sei milioni di gradi, fottuto riscaldamento climatico” si è detta. Il giorno dopo, a cercare grotte sulle colline marsigliesi, ha rischiato di nuovo il collasso, tanto da dire a ‘thieu che era meglio ripiegare. “Finirà anche sto caldo di merda che mi fa sentire una chiavica” si è ripromessa. La sera stessa, fatto increscioso: la matriciana preparata con ingredienti scelti sapeva di percolato di discarica.
“Ma non ha un gusto atroce ‘sta pasta?”
“Al contrario, io la trovo buonissima”
Ok, che sta succedendo?

Passano i giorni, il ciclo non torna, la stanchezza non se ne va. “Ma è sicuramente il caldo, dai, succede a un sacco di gente di avere un ritardo per temperatura assurda. E per lo sbalzo di alimentazione post campo speleo, di sicuro”. Finché un mercoledì sera Koris non è crollata in lacrime sul pavimento della cucina ai piedi di ‘thieu dicendo che forse c’era una remotissima possibilità che si dovesse eventualmente prendere in considerazione l’evento straordinario per quanto improbabile che il ritardo non fosse proprio solo un ritardo dovuto al caldo.
“Me n’ero accorto che non eri proprio della tua forma solita, non sono mica scemo”
“Uhm”
“In fondo si capisce se è da qualche giorno che…”
“Due settimane”
“… ah. Forse è il caso di fare un test di gravidanza”
“MA SCHERZI, MA FIGURATI, NO, NO, VOGLIO LASCIAR PASSARE ANCORA QUALCHE GIORNO. Metti che si risolve tutto da solo, è uno spreco di ansia”

Passa il congresso speleo nel Vaucluse, con Koris che a -100 all’Aven Souffleur non riesce più ad andare avanti e ancora meno a mangiare l’insalata di riso, alimento alquanto rivoltante; Koris si odia perché fino a tre settimane prima si aggirava dicendo “al congresso speleo andiamo a -400 all’Aven Autrans, usciamo sulle ginocchia ma felicissimi”. Passa l’adunata speleo nelle Causse, dove ci si barrica dietro la scusa “tanto l’Aven Lacas non è armato” per fare due grotticelle a interesse minimo, ove Koris dice no al panino ma sì a ingozzarsi di frutta secca. Arriva il giorno del primo eventuale passo per la fecondazione assistita, che Koris ha voluto mantenere nell’ottica del “metti caso che”. Un sacco di coppie di donne (molto set di una serie ambientata a Los Angeles), una dottoressa molto genitle e accomodante. A certe domande Koris temporeggia perché, fuor di metafora, si sente un po’ stronza.
“Per quanto riguarda il ciclo di solito è normale, ho qualche giorno di ritardo, non penso che…”
“Non creda, non sarebbe né la prima né l’ultima che arriva in questo ufficio con un ritardo e poi scopre che la natura ha fatto tutto da sé”
“Forse sarebbe il caso che trovassi il coraggio di fare quel test di gravidanza, non ti pare?” dice ‘thieu una volta fuori.

Koris resiste altri cinque giorni, poi si decide ad affrontare l’ansia e lo stress post-traumatico che le genera quel bastoncino rosastro. La linea di test si colora ancora prima di quella di controllo, non c’è molto spazio per i dubbi. Non si può dire che Koris la prende come nel cliché da commedia romantica, è piuttosto la sensazione che inizi un nuovo periodo sospeso che può finire in ogni modo. Per fortuna, stavolta la ginecologa è disponibile in tempi rapidi per un appuntamento, dove rapido è comunque una settimana.
“Ha sintomi di qualche genere?”
“Non dormo, sono esausta e non digerisco tutto ciò che non è crackes, mele o patate”
“Bene, è piuttosto buon segno per il prosieguo”
Koris ha letto la stessa cosa in un libro di memorie del XVIII secolo e dentro di sé impreca che la scienza medica non sia progredita da allora.

La settimana trascorre fra ansie che meriterebbero un posto apposito (un post appost, insomma). Un venerdì sera di fine settembre Koris è nella sala di attesa con altre tre donne con pance rotonde accarezzate di tanto in tanto, sentendosi un impostore e ripetendeosi “e vabbè è andata così” in maniera compulsiva, perché nel Koris-universo non erano contemplate altre ipotesi. C’è da dire che, a differenza del mese di aprile, la dottoressa trova subito tutto. Koris però non ha il coraggio di guardare.
“C’è un embrione di un centimetro e mezzo, con una piccola attività cardiaca, mi pare impiantato bene”
Koris si permette di dire che però non si sente tranquilla, vista l’esperienza pregressa.
“So che dire di stare il più tranquilli possibile non serve, cerchi di vederla in questo modo: ogni giorno senza sanguinamenti è un giorno buono e vediamo a metà ottobre”

Giorni, altri giorni, paranoie, attesa. ‘thieu è ottimista, Koris cerca di non pensare troppo ma le riesce male. Qualche uscita speleo con le energie di una lumaca sgusciata e la testa altrove. Sopportare Capo Giuseppi che dice che non bisogna stressare la collega L perché lei è incinta e si vede (Koris abbozza perché chissà se è incinta davvero, si può dire che è incinta? Boh). Siccome dorme una notta su tre e mangia come l’autrice di un blog pro-ana primi anni 2000, la vita non è facilissima. Ogni tanto vorrebbe accollarsi e piangere per farsi rassicurare da qualcuno, ma da chi, che quasi nessuno lo sa per scaramanzia? Solo ‘thieu santo subito ogni tanto si prende le Koris-sfuriate nel vano tentativo di instillare un po’ di buon senso, alla bisogna minacciando di cambiare la password del wifi (si ricorda che i forum medici e di mamminepancine continuano ad essere il male dell’internet).

Arriva metà ottobre. Questa volta la sala d’attesa è deserta, ma Koris continua col suo mantra “e vabbè è andata così”, perché quante gravidanze si interrompono prima della fine del terzo mese? Del resto non si vede nulla, ogni tanto l’acidità di stomaco sparisce, chissà che vuol dire. La dottoressa è molto più tranquilla di Koris, che si ostina a non voler vedere l’ecografia. Per altro su un addome che è più piatto di una sogliola, figurarsi se…
“Le consiglio di aprire gli occhi, dovrebbe davvero guardare”
Sullo schermo non c’è quella sorta di gamberetto informe che Koris vagamente ricorda: c’è una forma umanoide. Che sembra intenta a mettersi le dita nel naso. Perché ha una sorta di naso, e una testa ben chiusa, e quattro zampe, una vescica, un cuore che batte. E un genere stimato a otto su dieci. Insomma, non è ancora un umano, ma ci assomiglia. Koris è un po’ frastornata, le sembra strano che sia tutto a posto davvero. “Diciamo che ci sono soprattutto ragioni di non inquietudine” dice la dottoraressa.

E per quanto siamo ancora lontani dall’obiettivo finale, la forma umanoide c’è ancora. Quindi tanto vale parlarne e accettarlo.

P.S. è alquanto possibile che seguano altri post del genere, perché è un po’ che Koris se li tiene dentro. Si è ripromessa che, nel caso le cose vadano per il verso giusto, questo non diventerà un mummy-blog, visto che Koris non si vede affatto come figura genitoriale. Ma ad ogni modo, questo è un po’ il Koris-diario di viaggio e anche solo per dovere di cronaca, certi eventi vanno riportati.

Piccola storia ignobile

Koris non si è più fatta viva su questi schermi perché il provider internet ha deciso che la rete è una comodità superflua, soprattutto per quelli che non possono passare alla fibra, quindi tanto valeva far durare il disservizio il più a lungo possibile. Ma non solo per quello.

Qualcuno forse avrà letto la storia la storia di una presunta lenticchia vamira che aveva fatto comparire una seconda linea su un test di gravidanza e che, appena una settimana dopo, aveva deciso di non evolvere nel verso giusto. La questione sembrava chiusa, il periodo superato, pronti a passare oltre perché alla fine non c’è niente da elaborare per un grumo di cellule disperse. Restava da aspettare che il test degli ormoni, una settimana dopo, confermasse che tutto era rientrato nella norma.

Però col cazzo. Era l’unidici aprile e la quantità di ormoni a zonzo era sempre drammaticamente la stessa della settimana prima. Evidenze in letteratura non ritrovate riguardo a tale fenomeno, l’unico è un articolo americano che dice “in caso di ormoni stazionari si sospetta una gravidanza extrauterina”. O magari è solo il corpo che ci mette di più a smaltire la cosa, chi può dirlo?

L’indomani Koris era sola e disperata, perché quando non capisci che succede non puoi che disperarti. La ginecologa ovviamente in ferie e non raggiungibile. La segretaria, interrogata in merito, disse soltanto “se ha così paura di una gravidanza extrauterina, vada in pronto soccorso”. Koris era al lavoro, impossibilitata a muoversi prima dell’orario di uscita, sola a casa perché ‘thieu era a zonzo per questioni musicali. E non era mai andata al pronto soccorso perché nella vita è stata parecchio fortunata. C’era una vera e propria scelta? Arrivata a casa Koris ha preparato una zaino da vera matta in cui era stipato di tutto perché nel suo cervello poteva succedere di tutto. Non ha detto niente a ‘theiu, non ha detto niente a nessuno all’infuori di Celia ed è partita.

Al pronto soccorso le infermiere erano gentili e comprensive, anche nel bucare vene che erano state già forate un po’ troppo nei giorni precedenti. Una stundetessa ha visitato Koris, senza trovare nulla, ma per sua stessa ammissione non era proprio fortissima. Quando è arrivata la dottoressa di turno, Koris l’ha supplicata di dirle se davvero ci fosse qualcosa fuori posto.

“Ho controllato, può stare tranquilla, non c’è niente nelle tube. Però c’è un sacco in utero”
Koris stava per svenire dal sollievo, perché lo scenario peggiore era escluso, così come il ricovero d’urgenza e il dover spiegare a un sacco di persone perché si trovasse lì. Poi la dottoressa ha alzato l’audio dell’ecografo.
“Lo sente questo rumore?”
“Sì, cos’è?”
“Il cuore”
“MA IL CUORE DI COSA?”

C’era ancora qualcosa, un grumo di cellule vive, corrispondenti all’età gestazionale giusta, che non spiegavano niente di niente, né gli ormoni, né le perdite, nulla.
“Però con quei tassi ormonali così bassi è possibile che l’evoluzione sia incerta”
“E quindi cosa dovrei fare?”
“Aspettare, qui si vede di tutto, non possiamo avanzare nessuna ipotesi. Facciamo un’ecografia a settimana e aspettiamo”

Aspettare. Che è facile se si tratta di un pacco di Amazogn, un po’ meno se hai una cosa dentro che pensavi non ci fosse più, invece per ora è viva ma fra un momento boh. Aspettare, quando ormai la cosa che doveva restare segreta la sanno tutti, perché eri convinta che fosse finita. Aspettare anche quando due giorni dopo ricevi una chiamata dall’ospedale perché il primario non è convinto e vuole rivederti e devi fuggire dal lavoro (col vice-capo che dice “devi prendere un giorno di ferie perché ormai eri qui e non posso essere sicuro che tu non te ne vada in vacanza, semmai poi lavori da casa”, ma certo, brutto stronzo) per presentarti in ospedale e ricevere la stessa diagnosi. Aspettare.

Nel mentre Koris non sapeva cosa dovesse fare. Come se niente fosse? Come se fosse davvero incinta? Non ha mangiato formaggi a base di latte crudo, ha evitato di portare sacchi troppo pesanti, non ha bevuto come non beve di solito. Ogni tanto, per qualche folle attimo, ci ha anche un po’ creduto, prima che arrivasse la razionalità a dire “andiamoci cauti”. Anche se in un’ecografia inermedia un medico ottimista disse “ma potrebbe anche arrivare a termine, chi può dirlo quando sono così piccoli?”.

Due settimane dopo il verdetto che Koris si aspettava è arrivato: la gravidanza non andava avanti, era troppo dubbia. Che si fa? Si prende una pillola per evacuare il tutto e si aspetta che abbia effetto. Si aspetta di nuovo, in compagnia di antidolorifici a base di oppio perché tempo un’ora dovresti essere prostrata dal dolore. Ma non succede nulla. Niente, zero, manco per sbaglio. Un’ora, due ore, tre ore in attesa. Alla quarta la dottoressa del pronto soccorso si scoccia e manda a casa Koris, riconvocandola due giorni dopo per vedere cosa succede. Koris passa 48 ore sul divano, con gli stessi effetti collaterali che se avesse preso una mentina, alienata davanti al computer perché qualunque cosa si possa pensare è di troppo.

Due giorni dopo, mercoledì, stessa scena. Un’ecografia rapida dimostra che c’è ancora il sacco, l’embrione sembra di no, ma bisogna comunque pulire tutto. Seconda pillola, questa volta Koris riceve la grazia di poterla prendere a casa per non dover passare altre ore a fissare il nulla. Tuttavia anche il cambio di location non ha alcuna efficacia, stesso effetto mentina. Koris non capisce, odia il suo corpo difettoso che non solo fa andare avanti processi fisologici, ma non vuole nemmeno dar retta ai farmaci. L’attesa delle 48 ore successive è snervante, il morale è a terra, lo stato mentale è putrido.

Venerdì Koris si presenta al pronto soccorso a digiuno, nella vana speranza che si possa fare subito l’intervento di aspirazione e chiudere questa storia che si protrae da troppo tempo. Il medico di turno sentenzia “non ci sono disponibilità fino a venerdì prossimo”. Altri sette giorni di attesa, Koris fa presente che potrebbe non reggere, le fanno presente che non ha voce in capitolo. Ciondola come uno zombie a fare le scartoffie per il day hospital da un reparto all’altro, piagnucolando non per quello che ha perso, ma per se stessa e sentendosi una stronza (e incompresa) per questa ragione. Venerdì prossimo sembra lontanissimo. Koris chiede di tornare al lavoro perché se resta ancora a casa in mutua è la volta buona che diventa matta.

Koris ha ormai perso ogni fiducia nella ginecologia, non cerca una maga sulla tv locale che possa risolvere il suo problema, ma poco ci manca. Cerca di fare una vita normale, con scarso successo. Nel mentre il Koris-organismo dà falsi allarmi che la situazione si stia risolvendo naturalmente, grazie alla luna nuova, grazie alle tisane, grazie al cazzo ma di certo non grazie ai farmaci. La cosa non aiuta perché Koris è in preda alle paranoie da tredicenne da “Cioè” (alter: seguono schifezze) in stile “Ma è abbastanza sangue? Ma dovrei trovarci qualcosa dentro? Ma è normale non avere dolori insopportabili ma solo minuscoli crampi, ma cosa sono, la versione scrausa di Morticia Addams?”. Le risposte latitano (quando le infermiere non sbraitano al telefono “deve saperlo lei se ha espulso l’embrione o no”), i giorni sono eterni.

Giorni passati senza sapere, quando alle soglie dell’intervento, con la sala operatoria già pronta (sorvoliamo sul sentirsi trattati come un pacco postale di frattaglie), Koris riesce a convincere un’infermiera gentile che magari si può fare un’ultima ultimissima ecografia fuori tempo massimo. E si scopre che la natura si è presa i suoi tempi ma ha finito per fare il suo dovere, quindi l’équipe medica può andare a pranzo e Koris a casa. A scrollarsi di dosso la puzza di iodio, con la sensazione di riprendere il controllo del pacco di postare di frattaglie che potrebbe tornare ad essere un corpo. Col pensiero fisso che non è finita come si sperava, ma comunque adesso è fintia davvero.

E niente, non c’è né una conclusione né una morale per questa piccola storia ignobile che andrà ad aggiungersi a tante altre. Si può dire solo che la vita va avanti nella sue incomprensibili e bislacche meccaniche che sfuggono alla logica di noi miseri umani. Non è dato sapere cosa ci riserverà il futuro, ma l’unica cosa che a Koris importa è che questa parentesi sia consegnata al passato.

Insuccessi, scienze inesatte e il male dell’internet

Warning: questo post fa parte del diario di bordo personale di Koris e tocca temi personali, difficili e sensibili.

Com’è e come non è, alla fine la lenticchia vampira che sembrava pascersi del Koris-cibo ha deciso che non voleva (o non poteva) diventare un essere umano funzionale. Scoperto per caso: pianti, lacrime e disperazione per ventiquattr’ore. Dopodiché è subentrata la paranoia e la paura per il proprio grasso e grosso culo. Ma non sarà una gravidanza ectopica? E se fosse per quello che l’ormone non cresce né rincula? Che cosa si fa in questi casi, aspettando l’appuntamento dalla ginecologa per cinque lunghissimi giorni? Ricerche internet che riportano agghiaccianti esperienze con pillole abortive, mari di sangue, gente che si è trovata feti nel water, raschiamenti, uteri aperti come ostriche a Natale. Ore e ore a immaginare frattaglie di Koris dappertutto per colpa di un grumo di cellule suicide.

Quando ci si prepara al peggio, si presentano all’appello quelle che nove volte su dieci sono considerate solo una solenne rottura di coglioni: le mestruazioni, che sono un problema quando vengono e quando non vengono, ma questa volta sono accolte con un certo sollievo. Come quella volta in cui avevi il terrore che la contraccezione avesse fatto cilecca e invece no, era solo l’ansia per l’esame di astrofisica delle particelle, come cambiano i casi della vita. Ma ci sarà abbastanza sangue? Come dovrebbe essere, stile ciclo normale o stile mattatoio? Bisogna farsi una tisana al prezzemolo? Quanto deve durare, una settimana, due, sei mesi, per sempre?

Il lunedì la ginecologa ha rivolto a Koris lo sguardo riservato agli psicopatici e non ci sentiamo di darle torto. La cosa positiva è che la questione si risolve in cinque minuti netti senza nemmeno spogliarsi perché “la natura sta facendo da sola, succede una volta ogni 4-5 gravidanze, rifacciamo un esame dell’ormone lunedì prossimo per essere sicuri” “posso farlo anche sabato se…” “ho detto lunedì, e non ne fa uno ogni due giorni finché non scende a zero, eh!”. Psicopatica fino in fondo, pure col foglietto per le domande per non dimenticarsi le cose. Potete riprovarci anche subito se vi va, l’appuntamento per le visite pre-PMA può essere utile ma come volete, prenditi il progesterone che tanto fa solo che bene e se dovesse ricapitare un test positivo non fare la pazza e chiama. L’unico consiglio pratico si riassume col finale di “Eyes Wide Shut“. Oh, e stare tranquilli. Poco c’è mancato che consigliasse un pusher per dell’erba buona, di cui forse ci sarebbe anche bisogno. ‘thieu tutto giulivo, “vedi, se è tranquilla lei stai tranquilla anche tu, abbiamo esaurito il caso che non ha funzionato, ci restano i tre o quattro che funzionano”. Oh, frena, biondino.

In seguito alle sue ricerche compulsive sull’internet in tre lingue diverse, Koris ha il sospetto che la medicina non sia proprio una scienza esatta e la ginecologia ancora meno. “Il grande mistero della vita” e va bene, ma anche un par di palle, soprattutto perché sei rispondi “il grande mistero dei flussi neutronici sull’uranio” ti cacciano a pedate nel culo e hanno anche ragione. Insomma, Koris ha letto di tutto su tutto. Per concepire bisogna avere rapporti il giorno prima e dopo l’ovulazione; anzi, meglio i giorni dopo; anzi, hai il 33% di chances se becchi il giorno stesso dell’ovulazione. L’ovulo vive 72 ore nell’utero; anzi, 24; anzi, 48; anzi, se non stai attenta lo espelli con uno starnuto, all’evenienza anche da naso. La cosa più divertente (lol, col cazzo) è che talvolta i risultati cambiano secondo la lingua di ricerca. In italiano, dopo un aborto spontaneo (chiamiamo le cose col loro nome) bisogna aspettare dai tre ai sei mesi prima di rimettersi a fare zozzerie procreative. Per gli anglosassoni invece entro tre mesi dall’evento ci sono maggiori possibilità. I francesi sono i soliti luridi per cui “alé, on nique” anche subito, fate un po’ come cazzo ve pare, a parte il fantomatico “retour des couches” che non si è ancora bene capito che cosa sia. Insomma, paese che vai, usanza che trovi, solo che Koris pensava si applicasse solo ai dilatati tempi di cottura della pasta, non a una scienza applicabile a tutto il genere umano con cromosomi XX.

Tuttavia, nei momenti di bieca disperazione e insonnia delle tre del mattino, Koris è finita anche in meandri dell’internet che è bene non bazzicare: i forum di mamme, aspiranti mamme, gente in cerca di figli. Quello è crogiolo del peggio, ma quando sei in ansia e vuoi sapere finisce che ci clicchi sopra, senza sapere che stai per farti ancora più male e non ti aiuterà per niente perché ehi, quelle donne non sono te. Esperienze terrificanti, sedicesimo aborto consecutivo, tube usate come cibo per gatti, testicoli tagliuzzati alla ricerca di uno spermatozoo Highlander, fecondazioni assistite andate male più e più volte. “Bisogna stare alla larga dai forum del genere, perché la gente tende ad usarli come terapia di gruppo e spesso e volentieri non racconta le cose come sono andate, fa un’operazione di masking per renderle socialmente accettabili e tu finisci per avere un quadro distorto” dice chi di cervelli ne sa di più. Solo che nella morsa della disperazione sembra che valga tutto e sia tutto vero. Almeno finché, nel cuore della notte e dell’insonnia, non ti ritrovi su un forum in cui si racconta il tuo stesso caso, “ho perso il mio bambino alla sesta settimana di gravidanza, adesso prego per lui che è diventato polvere d’angelo”. E va bene, ognuno gestisce le perdite a modo suo, ma tu non sei così. L’ultima oncia di razionalità rimasta si fa sentire e ti fa presente che quel “coso” era più piccolo dell’unghia che ti stai rosicchiando. Non hai mai pensato che un ammasso di cellule senza né cuore né cervello fosse un essere umano. Certo, era un grumo di cellule che mischiava i tuoi geni con quelli della persona che ami, però resta un grumo. Succede che arriva una risoluzione straordinaria: ogni volta che ti verrà voglia di cercare cose del genere, vai su YouPorn o un sito di hentai. Del resto, stando al consiglio della ginecologa (l’unico che si dovrebbe ascoltare perché lei, a differenza di PoppiSbrinza52, lo fa di mestiere), potrebbero dare spunti ben più utili che tutti i forum di mammine pancine e non.

E insomma, alla fine della fiera, come va? Mah. Non va male, potrebbe andare meglio. Sarebbe stato meglio se avesse funzionato, ma funzionato davvero con tutti i pezzi a posto. Perché non avresti detto “io voglio fare l’amniocentesi e tutte le analisi del caso” se lo avessi tenuto ad ogni costo, no? Quindi alla fine, se proprio c’era qualcosa che non va, meglio così: anche la natura fa debugging e solo un buon debugging porta a un programma efficiente (Koris, dicci che sei un Cylon senza dirci che sei un Cylon). E adesso? Mah. C’è anche da dire che nel giro di un mese si è passati da “procreazione assistita” a “incinta” a “aborto spontaneo” passando per il covid, quindi forse c’è di che essere emotivamente a pezzi e un po’ frullati. Il cervello razionale vorrebbe capire cosa ha funzionato bene in questo folle mese di marzo e cosa no, ma pare che in questa faccenda di razionale ci sia poco. Il che è molto disturbante, perché è assurdo che si possa controllare con precisione dove va a sbattere un miscuglio onda-particella che conosciamo da cent’anni, mentre questa storia della procreazione va avanti da decine di migliaia di anni e tutto quello che uno specialista può dirti si riassume a “scopate deppiù”. Però siamo onesti, come prescrizione medica c’è di peggio.

Giorni densi quando capita a te

Koris è seduta alla scrivania del suo ufficio deserto, davanti a un’insalata della mensa che naviga in un olio di dubbia origine. Medita sui casi della vita mentre la vita la prende un po’ per il culo.

Gli ultimi dieci giorni non sono stati proprio facilissimi. Fu dapprima il verificarsi di un evento considerato statisticamente improbabile. Uno di quegli eventi che possono scombussolarti la vita e non sai bene come prenderli, soprattutto sapendo che Koris continua ad avere la maturità di una quindicenne. Poi nel giro di cinque giorni l’evento scombussolante divenne un potenziale problema, col braccio sinistro di Koris trasformato in quello di una junkie e un sacco di domande insistenti. Solo che le domande insistenti hanno ricevuto risposte preoccupanti, perché Google non sa essere rincuorante. Alla fine la natura ci ha messo lo zampino e l’intera faccenda pare essere in corso di risoluzione senza strascichi. In preda a un cocktail emotivo, Koris un po’ si odia perché si è di molto montata la testa per via delle ricerche compulsive; una vita passata a imprecare contro quelli che “la radioattività non è naturale, l’ho letto sul blog di GinoFuffoloAntiNuke” per poi farsi mandare nel panico più totale dai post di Spirulina26 sul forum “Pikkoli Ancieli Pelosetti”. Bella performance, Koris, sei saggia finché l’esperto sei tu, altrimenti torni una minchiona da tastiera dotata del quoziente intellettivo di un’oloturia e dell’ansia di carlino sotto anfetamine. Si ringraziano tutti coloro che hanno tollerato gli scleri di Koris in questi ultimi dieci giorni. Menzione speciale per l’Amperodattilo perché un Amperodattilo è per sempre e perché in più di trent’anni certe scienze danno sempre le stesse risposte e gli stessi consigli.

Otto volante emotivo a parte, che lo ha colpito non poco nonostante la faccenda non fosse nelle sue carni, ‘thieu è ancora vittima della longa manus del coviddi. Di umore perfettibile, per lo più si lamenta che è stanco e dorme. Si sveglia e si lamenta del lamentarsi dell’essere stanco. Non ha voglia di andare in grotta e lascia Koris a spenzolare appesa ad armi che ha messo lei, di dubbia fiducia. Si spera che i lasciti del coviddi si decidano a sparire, che ci sono tante da cose da fare.

In tema di coviddi, dopo aver ripetuto per mesi “ma certo che potete lavorare mentre siete in isolamento, mica prendete giorni di malattia, tanto dovete stare a casa”, Capo Giuseppi è caduto nelle grinfie del vairus. Ovviamente è scomparso dagli schermi, da Skype e da questa linea temporale. Si è manifestato solo pochi minuti presso un Koris-collega per dire che non sta affatto bene come pensava che fosse, che non può lavorare e che bisogna capirlo. Koris si astiene da qualunque commento, tuttavia continua ad augurare a Capo Giuseppi una pronta guarigione, nonché una promozione a chef de service in tutt’altra unità, se possibile anche in Ile-de-France (questa è la tecnica Celia per cui non si deve mai augurare il male, quanto piuttosto il bene ma il più lontano possibile).

Koris ha ormai imparato a mettere una barriera osmotica fra lei e il lavoro, che permette di prendere le cose con un certo distacco e non farsi fagocitare da gorghi stile Neutroni Porcelloni. Ciò nonostante gli avvenimenti la hanno un po’ sbarellata, quindi guarda la potenza residua dei mini-reattori senza saper bene che farsene. Avrebbe un gran bisogno di sedersi da qualche parte, giocare a Civilization IV dove ha imparato a dichiarare guerra come un presidente russo qualunque, guardare “Big Mounth” che è esageratamente volgare e per questo stupidamente divertente, andare in grotta a -300 con un kit di dieci chili attaccato alle chiappe. Però la settimana prossima dovrebbe riuscire a fuggire in Italia dai Maiores assieme a ‘theiu, per cui magari un po’ di relax si trova.

Impressione artistica del vortice emotivo nel Koris-cervello

Et in terra PACS

La cosa era nell’aria già da un po’ e non assieme al coviddi. C’era già prima, da quando ‘thieu buttò lì un “potremmo anche sposarci” due o tre anni fa. ‘thieu sceglie sempre momenti opportuni per queste grandi risoluzioni ed essendo quel momento proprio l’attimo in cui Koris stava precipitando nel regno dei sogni, la risposta fu “potremmo anche dormire”. Il romanticismo bussava alla porta e quando il romanticismo bussa alla porta, “tu dà due giri di chiave e chiama la polizia”, come ebbe a dire una volta l’Amperodattilo.

Non che la cosa fosse morta lì, ogni tanto emergeva il discorso, allo stesso modo di quel paio di calzini improponibili smessi da anni ma che si fanno vedere di tanto, riportati a galla dall’entropia del cassetto. Essendo i nostri due protagonisti poco amanti di dichiarazioni con cene a lume di candela e brillocchi inanellati sotto la Tour Eiffel (che poi come romanticismo sta a zero per uno che è davvero nato a Parigi), la questione si risolveva con uno sbrigativo “on verra”, poi ci pensiamo. E vissero tutti felici e contenti, procrastinando ad libitum, come finale per una favola non è poi così male.

In verità Koris si era anche informata: la mole di scartoffie era notevole. Soprattutto chiedevano andirivieni col consolato italico, non sempre sul pezzo e con alzate d’ingegno del genere “prendere un appuntamento per prendere un appuntamento”. All’epoca Koris aveva appena il tempo di andare a pisciare e nemmeno tutti i giorni, stare dietro alle menate del consolato. Koris e ‘thieu sono giunti al compromesso “aspettiamo la naturalizzazione francese”. Che è un altro modo di procrastinare alle grande, poiché i tempi per la naturalizzazione potevano essere molto più lunghi del previsto e il decreto arrivare soltanto nella settimana dei cinque venerdì dell’anno del mai.

Contro ogni aspettativa, tuttavia, Koris è diventata una froggy prima del previsto e nonostante il coviddi, riuscendo persino a farsi fare una carta di identità marsigliese. Divenuta una pseudo-francese papiers-munita, non c’erano più tentennamenti di sorta. A parte il coviddi, si intende. Koris si è più o meno piazzata davanti a ‘thieu pronunciando un internazionale e in ogni caso comprensibilissimo “embè?”.

Ne è scaturita una lunga discussione, mentre ‘thieu cucinava e mentre Koris se ne stava seduta sulla lavatrice. Ne è emerso che se la cosa si voleva davvero fare, si doveva battere il ferro finché era caldo, coviddi nonostante. Ne sarebbe conseguito che non ci sarebbero state feste, cerimonie e celebrazioni di sorta, del resto in era coviddi non si può fare altrimenti; a onor del vero, anche in assenza di vairus, Koris e ‘thieu non sono proprio inclini a ricevimenti e sollazzi (in particolare ‘thieu, l’uomo dai troppi cugini, tutti sposatisi con cerimonie faraoniche da ‘thieu molto sofferte), quindi se si poteva evitare era meglio. Koris ha tuttavia fatto notare che bisognava trovare due testimoni, ovvero convincere due persone a prendere un giorno di ferie o perdere un giorno festivo per mettere una firma su un pezzo di carta non destinato a loro. Il romanticismo di cui sopra. A ‘thieu è comparsa in faccia la vecchia clessidra di Windows 3.1 che significava “ci penso”.

“Ma perché non facciamo un PACS?” se n’è uscito ‘thieu, un giorno di febbraio qualunque. Koris ha storto il naso, per traumi pregressi: forse non tutti sanno che il SonnoDellaRagione propose a Koris di firmare un PACS solo per tirarsi indietro (e mollarla) cinque giorni prima della data stabilita. Si è presa qualche giorno per processare la cosa, soprattutto per convincersi che ‘thieu non ha dato segni di SonnoDellaRagione per più di cinque anni, quindi decretò che si poteva fare. Per altro, essendo Froggy, a Koris non restava che chiedere un agevole certificato di stato civile online a Nantes e niente più scartoffie col consolato. C’è stata ancora un’avventura minore col comune di Marseille convinto di essere al di sopra della legge, ma niente che un urlo di ‘thieu non potesse risolvere.

E oggi hanno firmato: Koris e ‘thieu, soli, un po’ rincoglioniti, vestiti non benissimo ma almeno senza scarpe coi buchi. Hanno firmato in un ufficio pieno di plexiglass, alla vigilia di quella che sembra la terza fine del mondo. Il tutto ha richiesto un rapidissimo quarto d’ora: certi pacchi alle poste richiedono più tempo di un PACS. I due più novelli cosi che novelli sposi se ne sono tornati a casa con due pasticcini zozzi della pasticceria di fiducia, da mangiare rigorosamente prima che Manù (o chi per esso) dia le attese pessime notizie.

Ora come ora non si registrano cambiamenti radicali. A parte ‘thieu esagitato e euforico che continua a ripetere “ora ti tocca mettere il tuo nome sul citofono, non puoi più rifiutarti!”. The things I do for love.

48 lunghissime ore

(Forse in altro universo in cui la vita è uguale a com’era nel 2019 questo sarebbe un post speleo, ma no, non è questo il caso)

Le notizie dal lavoro che arrivano la domenica sera sono raramente buone. E infatti. Suona il telefono di ‘thieu, il quale arriva in cucina con fare mesto mentre Koris sta cercando di avere la meglio su una pasta panna&piselli.
“Una mia collega è positiva sintomatica”
“E tu ci hai avuto a che fare?”
“Forse, ma credo sempre con la mascherina.”
“Sicuro sicuro sicuro?”
“Non ricordo”
‘thieu ha una pessima memoria per gli eventi che non riguardano la musica barocca o la speleologia. Ma gli vogliamo bene lo stesso, anche se in questi frangenti Koris vorrebbe sempre pestarlo fortissimo. Koris è stile Firefox, tiene sempre la cronologia. ‘thieu passa la serata ad annullare corsi e spostare orari, scrivendo agli studenti di andare a farsi testare perché la collega in questione aveva cipollato fogli e penne dei presenti. C’è gente che dopo un anno di pandemia non ha ancora capito una fava, succede. Koris dorme poco e male cercando di convincersi che ‘thieu è una persona responsabile e non avrà fatto cazzate. Possiamo fidarci? Il soffitto non le risponde.

Lunedì mattina, in ufficio, Koris non ha la luna storta, è piuttosto l’intera collezione di satelliti di Giove ad essere di traverso. Sono circa le undici e Koris si è finalmente decisa a cercare di capire se è la sorgente di MCNP ad essere scema o se è scema lei, quando suona lo SmartPhogn.
“Sono considerato contatto a rischio della collega?”
“In che senso, scusa?”
“Abbiamo mangiato nella stessa sala mercoledì, mi ero scordato”
“E quindi?”
“Quindi ora vado a casa ad isolarmi e cerco di prenotare un tampone. Ho chiesto per te, finché non si sa se sono positivo o meno tu non devi fare nulla”

Qui sarebbe bello ed edificante dire che Koris prende saldamente in mano la situazione, organizza tutto e cerca di tenere alto il morale. Ma sarebbe una lurida menzogna, perché Koris ormai è nave senza nocchiero in gran tempesta, in balia degli eventi e dell’unica cosa che proprio non ci voleva. Quindi fa l’unica cosa che le riesce: accosta la porta dell’ufficio e piange, che ormai le gocce non solo hanno fatto traboccare il vaso, hanno proprio allagato la stanza. Un collega, sentendosi stocazzo, ha la pessima idea di venire aprire la porta.
“Ah, c’è qualcosa che non va”
“Sì, il mio compagno è stato a contatto con una persona positiva e onestamente…”
“Il tuo problema è che ti preoccupi troppo, devi imparare a lasciare andare. Tu vuoi farti carico dei problemi del mondo, quando invece…”
“NO, IO VOGLIO ESSERE LASCIATA IN PACE”
Forse Koris aggiunge “scusa”, forse no, fatto sta che il collega batte in ritirata. Koris ha sicuramente torto, ma forse far presente a una persona in un momento difficile che sta sbagliando tutto non è un’idea luminosa.

Koris placca da lontano Stagista J, gli spiega la situazione e gli dice che per precauzione si vedranno su Teams, anche da un ufficio all’altro, pasiensa Segnù come si dice a Merdopoli. Quindi Koris passa il resto del pomeriggio a cercare di non soccombere all’ansia e mangiando unghie al gusto gel disinfettante. Il ritorno a casa è impiegato nella disciplina in cui Koris eccelle, ossia la previsione degli scenari più foschi: cosa fare se ‘thieu è positivo, cosa fare se si scopre che è positiva pure Koris, come minchia gestire l’installazione dello spettrometro se Koris deve isolarsi, cosa fare se ‘thieu ha sintomi, in un crescendo di “e se” che portano circa alla morte termica dell’universo. Il piccolo hikkikkomori apserger che vive nel Koris-animo fa presente che se vivessimo da soli non saremmo in questa merda e che prendere tutto e fuggire è sempre una soluzione.

A casa si stabilisce che fare camere separate è troppo tardi: dopo aver bevuto dalla stessa bottiglia si aspetta e si spera. ‘thieu sta bene, non è di umore massacrante, fa il tampone domani, sperando di avere i risultati nel pomeriggio. Koris, crogiolo di ansia, mangia numero due fagiolini e si ammazza di “Emperor: Rise of the Middle Kingdom” e di X-Files di conforto. ‘thieu si addormenta, Koris continua a conversare col soffitto come un Ikari Shinji qualunque. L’unica nota positiva è un micro-sogno in cui compare Celia che porta Koris a una rievocazione trecentesca prestandole un vestito e presentandole armigeri in lattina. Gli amici si vedono nel momento del bisogno, anche in sogno.

Stamattina, ‘thieu è in isolamento, Koris è in smart working, che non ha niente né di smart né di working. Si tratta piuttosto di un fissare uno schermo che non racconta niente chiedendosi perché non ne va mai una dritta, proprio quando hai ammazzato da un anno tutta la tua vita sociale, basta un anello debole della catena e zac, va tutto in merda. ‘thieu va a fare il tampone alle undici, Koris mangia moncherini di unghie conditi con pellicine e inveisce contro il Buffone di Parigi che non vuole un nuovo lockdown. Il faut vivre avec le virus e me cojoni. ‘thieu torna nel giro di dieci minuti, tirando su dal naso e lamentandosi della spiacevolezza della cosa.

Inizia la parte peggiore, l’attesa. Koris guarda le simulazioni, le simulazioni guardano Koris e le dicono “hai programmato 26 di tempo di calcolo, quindi ora aspetti pure noi, gne gne”. Durante un pranzo raffazzonato di quello che abbiamo l’ardore di chiamare riso cantonese, ‘thieu riceve un sms.
“Merda, sono positivo”
Momento di avvizzimento delle Koris-viscere, passa davanti tutta la vita futura, il riso cantonese risale le pareti dello stomaco, il grande trambusto sembra essere diventato realtà.
“Ah, no, ho letto male, sono le consegne da seguire nel caso io sia positivo”
Koris non dice nulla per amor di pace, in cuor suo ha appena perso un considerevole di anni di vita e vorrebbe moltissimo, se non strozzarlo, dirgliene di ogni. Poi pensa che magari più tardi arriverà un messaggio e sarà vero, quindi lascia perdere.

Il pomeriggio passa. Si sussulta per qualunque messaggio. ‘thieu perde la tranquillità delle ore precedenti e inizia a sbuffare come una teiera, che ‘thieu e le attese non vanno d’accordo. Koris ormai si sta mangiando le ossa delle falangi. Finito di lavorare (#credici) esce a fare la spesa, sempre assorta in pensieri cupi come “meglio fare un po’ di scorta che se dobbiamo isolarci tutti e due poi come si fa?”. Si illude che il Mistral le scompigli un po’ le idee, ma in giro c’è troppa gente con la mascherina messa in qualunque modo fuorché quello buono, quindi Koris si innervosisce e basta. Torna a casa, cerca invano di spandere ottimismo a ‘thieu dicendo che se gli danno il risultato domani magari è buon segno, significa che si possono prendere tempo perché è negativo. Appurato che è tutto inutile, Koris si seppellisce in “Sherlock Holmes: the Awakened“, che l’unico mondo buono è uno composto di pixel.

Sono le sette di sera, Koris sta per alzarsi a preparare la cena, quando ‘thieu esclama.
“Sono arrivati i risultati del test: è negativo”
“Negativo negativo?”
“Sì, negativo, giuro”
“Senza alcuna ambiguità possibile?”
“Dicono prelievo eseguito correttamente, nessuna presenza di coviddi rilevata. Vado a scriverlo a colleghi”
Koris vorrebbe alzarsi dal divano ma all’improvviso le sue articolazioni sono diventate di ricotta; sarà l’età, saranno gli stravizi della vita, ci vogliono cinque minuti buoni perché riesca ad alzarsi. Anche se il piombo nel diaframma si è un po’ diradato, per la prima volta da due giorni.

Koris e ‘thieu ritrovano la parola all’improvviso e anche la voglia di usarla. “Ma non potevo essere positivo, certo, stavo lontanissimo dalla collega” continuano a ripetere. Certo, come no, riparlatene ai voi stessi di un quarto d’ora prima. Koris resta convinta che questo scherzetto le ha portato via altri punti di sanità mentale e ormai le resta davvero poco prima di andare in giro dicendo di servire Yog Sothoth. Ma forse meglio Yog Sothoth del coviddi. E insomma, questa volta abbiamo schivato questa potenziale enorme, gigantesca, problematica rottura di coglioni. Not today ma anche e soprattutto…

Esperienze contraccettive intensive

“Ci sono anche due bambine in campo speleo, è un problema?”
Koris e ‘thieu hanno imparato che dire “no, figurati, vai tranquillo” comporta un rischio per la salute mentale, la salute fisica, nonché per qualsiasi voglia di portare avanti la specie umana ovvero per il desiderio di procreare.

Che poi Koris avrebbe voluto solo staccare il cervello per quattro giorni, di cui due di ferie abbandonando Stagista J perché non si faccia troppe illusioni. Comunque, staccare il cervello e andare in grotta, vedere cose belle ove possibile, mettere il suo grasso e grosso culo nel vuoto di un pozzo, quindi uscire e mangiare come se il grasso e grosso culo di cui sopra non esistesse. Le Koris-velleità hanno dovuto scontrarsi con la cruda realtà, tanto per cambiare.

“Ma sì, sì, le due puffette se la cavano su corda, non vi preoccupate”
Questa frase è stata parafrasata in “scendono in un regime del terrore, piangendo fiumi di lacrime e preparando la futura fortuna di un terapista”. Già il primo giorno si sono viste scene da dramma che forse erano capricci, forse era terrore, noi di Voyager non sappiamo dirlo. Si pensava di fare due pozzi, ‘thieu ha dato l’alt fermi tutti dopo il primo, con grande frustrazione di quella che sta scrivendo. C’è da dire che all’uscita ‘thieu e Koris sono riusciti a far passare un po’ la paura del vuoto facendola appendere alla corda e facendola contare fino a cinque/dieci/venti con le mani sul casco. Roba che se lo avessero detto prima, nessuno ci avrebbe creduto.

Il peggio del fondo del barile si è raschiato il giorno dopo. ‘thieu aveva proposto di fare una grotta senza corda, ma no, troppo facile, non ci sarebbe stato abbastanza dramma. Dopo un primo pozzo ridicolo, che tuttavia stava per finire in tragedia, ci si è accorti che la grotta proseguiva o in un inaccessibile passaggio a sei metri d’altezza, o in un dedalo di pozzi non proprio canonici. Mentre gli adulti maschi cercavano il prosieguo, la puffetta grande stava piangendo tutte le sue lacrime perché aveva visto dei ragni, nell’indifferenza genitoriale. Koris ha cercato di convincerla che gli aracnidi sotterranei sono innocui e fanno la loro vita, ma davanti al panico ostinato ha convinto la puffetta ad andare altrove, dove non si vedevano creature a otto zampe e troppi occhi. Nel mentre ‘thieu ha trovato il prosieguo della grotta, lo ha armato e ha fatto presente all’altro maschio adulto:
“Non è pensabile che le puffette passino di lì, c’è una calata di 18 metri con posizioni folkloristiche, non si può fare”
“Ah, d’accordo. Allora portatele fuori mentre io e la mia tizia andiamo a fare un giro, poi semmai ci raggiungete”

Rumore di mandibole cadute a terra, forse ci sono passati sopra pure i ragni, non era quello il problema. La riposta giusta sarebbe stata “sticazzi”, ma ‘thieu e Koris erano troppo sbalorditi per riuscire a piazzare la risposta giusta. Toccava portare fuori le puffette, ove fuori era un crinale che dava su una strada, non proprio il posto ideale per far pascolare due under otto. ‘thieu ha passato un tempo lungo chiuso nel suo mutismo che è sempre meglio lasciar perdere. La puffetta piccola, fierissima di sé per aver disceso un piano inclinato tutto da sola, era diventata un Koris-satellite e forse Koris se la sarebbe anche portata giù per P100, in quello stato mentale. La puffetta grande, invece, in aracnofobia pura.

Il problema era il seguente: portare le puffette da una sala all’altra, dove c’è sì il pozzo di uscita, ma anche i ragni. Mentre ‘thieu faceva il cosplay di una statua incazzata, Koris si esibiva nel problema del lupo, la capra e il ragno per far muovere due puffette verso un pozzo, una in lacrime, l’altra che iniziava ad avere freddo. Resasi conto che la situazione aracnofobica non andava risolvendosi, Koris ha urlato a ‘thieu di far uscire puffetta piccola, cosa che è avvenuta senza incidenti. Nel mentre Koris ha tenuto in braccio per un’ora puffetta grande, seduta sulla sua gamba, a cercare di tranquillizzarla.
“Senti, se vado a togliere i ragni dalla sala te la senti di andare fino al pozzo?”
“Shi”
Koris è andata a spostare delle bestiole che non ne potevano nulla, U Babbu docet.
“Ora non ci sono più i ragni, andiamo?”
“No! Nel frattempo sono tornati”
Enorme sforzo per evitare di urlare “SENTI STICAZZI DEI RAGNI È GIÀ UNA GIORNATA DI MERDA ANCHE BASTA”, ma solo perché imprecare nella propria lingua madre aiuta.
“Ho paura che mi mangino le mani”
“Tieni i miei guanti, sono persino rosa, i ragni che comunque non ci sono non ti mordono di certo. Adesso andiamo?”
“NO!”
“Ahem, senti, però dobbiamo uscire… o almeno potresti sedere sulla gamba sinistra, che ormai la destra è preda della cancrena?”
“No, ho paura!”
Scende in grotta San Germano Mosconi a congratularsi con Koris per la sua inventiva nelle bestemmie. Bisognava distrarre la marmocchia in qualche modo perché non pensasse ai ragni e fosse trasportabile fino al pozzo.
“Ho un’idea, cantiamo una canzone!” ha esclamato Koris, che avrebbe voluto cantare ‘osteria numero nove’ ma si è trattenuta “Qual è la tua canzone dei cartoni preferita?”
“Non ne conosco”
“… in che senso non ne conosci? Nemmeno la canzone di Frozen? La conoscono pure i sassi la canzone di Frozen, eddaje…”
“Non li guardiamo mai i cartoni animati”
“E cosa guardate?”
“Netflix con mamma”
“E cosa guardate su Netflix con mamma?”
“Netflix”
Appurato che forse Suburra è adatto alle under 8 e che non conoscere né “Giovanni re fasullo di Inghilterra” né “Questo il mondo fa girar” (ma nemmeno qualcosa di meno vintage) è segno di un’infanzia sprecata, Koris è finita per trarsi d’impiccio facendole recitare le tabelline. Forse non il metodo più piacevole e ortodosso, ma abbastanza efficace perché la puffetta grande pensasse ad altro. ‘thieu e Koris la hanno presa pertrafficata le braccia e portata fino al pozzo, quindi restituita alla superficie.

‘thieu è uscito dalla grotta urlando “viva il coltellino“, nonostante non abbia velleità a cantare da castrato. Koris ha iniziato a mandare messaggi densi di panico all’Amperodattilo chiedendo se anche lei e Orso fossero così nello scorso millennio (“ma figurati, passi lunghi e ben distesi” disse l’Amper, che nel XX secolo usava intimare “questo è un capriccio!” per far cessare sul nascere qualunque intento lamentoso). “Dipende da come li educhi” ha terminato il responsabile ISO-9001 del Cenozoico via WhatsApp. Ecco, di certo dipenderà dall’educazione e della disposizione d’animo, tuttavia certe esperienze mettono la pietra tombale su qualunque eventuale, minima, residua voglia di shakerare gameti e far venir fuori nuovi esseri umani.

P.S. taciamo tutti i capricci corollari perché se no il post diventa un elenco di lamentele infinito.

Ma infatti, visto che il divertimento non si accompagna alla sofferenza, esperienze del genere facciamo anche basta
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