Koris non si è più fatta viva su questi schermi perché il provider internet ha deciso che la rete è una comodità superflua, soprattutto per quelli che non possono passare alla fibra, quindi tanto valeva far durare il disservizio il più a lungo possibile. Ma non solo per quello.
Qualcuno forse avrà letto la storia la storia di una presunta lenticchia vamira che aveva fatto comparire una seconda linea su un test di gravidanza e che, appena una settimana dopo, aveva deciso di non evolvere nel verso giusto. La questione sembrava chiusa, il periodo superato, pronti a passare oltre perché alla fine non c’è niente da elaborare per un grumo di cellule disperse. Restava da aspettare che il test degli ormoni, una settimana dopo, confermasse che tutto era rientrato nella norma.
Però col cazzo. Era l’unidici aprile e la quantità di ormoni a zonzo era sempre drammaticamente la stessa della settimana prima. Evidenze in letteratura non ritrovate riguardo a tale fenomeno, l’unico è un articolo americano che dice “in caso di ormoni stazionari si sospetta una gravidanza extrauterina”. O magari è solo il corpo che ci mette di più a smaltire la cosa, chi può dirlo?
L’indomani Koris era sola e disperata, perché quando non capisci che succede non puoi che disperarti. La ginecologa ovviamente in ferie e non raggiungibile. La segretaria, interrogata in merito, disse soltanto “se ha così paura di una gravidanza extrauterina, vada in pronto soccorso”. Koris era al lavoro, impossibilitata a muoversi prima dell’orario di uscita, sola a casa perché ‘thieu era a zonzo per questioni musicali. E non era mai andata al pronto soccorso perché nella vita è stata parecchio fortunata. C’era una vera e propria scelta? Arrivata a casa Koris ha preparato una zaino da vera matta in cui era stipato di tutto perché nel suo cervello poteva succedere di tutto. Non ha detto niente a ‘theiu, non ha detto niente a nessuno all’infuori di Celia ed è partita.
Al pronto soccorso le infermiere erano gentili e comprensive, anche nel bucare vene che erano state già forate un po’ troppo nei giorni precedenti. Una stundetessa ha visitato Koris, senza trovare nulla, ma per sua stessa ammissione non era proprio fortissima. Quando è arrivata la dottoressa di turno, Koris l’ha supplicata di dirle se davvero ci fosse qualcosa fuori posto.
“Ho controllato, può stare tranquilla, non c’è niente nelle tube. Però c’è un sacco in utero”
Koris stava per svenire dal sollievo, perché lo scenario peggiore era escluso, così come il ricovero d’urgenza e il dover spiegare a un sacco di persone perché si trovasse lì. Poi la dottoressa ha alzato l’audio dell’ecografo.
“Lo sente questo rumore?”
“Sì, cos’è?”
“Il cuore”
“MA IL CUORE DI COSA?”
C’era ancora qualcosa, un grumo di cellule vive, corrispondenti all’età gestazionale giusta, che non spiegavano niente di niente, né gli ormoni, né le perdite, nulla.
“Però con quei tassi ormonali così bassi è possibile che l’evoluzione sia incerta”
“E quindi cosa dovrei fare?”
“Aspettare, qui si vede di tutto, non possiamo avanzare nessuna ipotesi. Facciamo un’ecografia a settimana e aspettiamo”
Aspettare. Che è facile se si tratta di un pacco di Amazogn, un po’ meno se hai una cosa dentro che pensavi non ci fosse più, invece per ora è viva ma fra un momento boh. Aspettare, quando ormai la cosa che doveva restare segreta la sanno tutti, perché eri convinta che fosse finita. Aspettare anche quando due giorni dopo ricevi una chiamata dall’ospedale perché il primario non è convinto e vuole rivederti e devi fuggire dal lavoro (col vice-capo che dice “devi prendere un giorno di ferie perché ormai eri qui e non posso essere sicuro che tu non te ne vada in vacanza, semmai poi lavori da casa”, ma certo, brutto stronzo) per presentarti in ospedale e ricevere la stessa diagnosi. Aspettare.
Nel mentre Koris non sapeva cosa dovesse fare. Come se niente fosse? Come se fosse davvero incinta? Non ha mangiato formaggi a base di latte crudo, ha evitato di portare sacchi troppo pesanti, non ha bevuto come non beve di solito. Ogni tanto, per qualche folle attimo, ci ha anche un po’ creduto, prima che arrivasse la razionalità a dire “andiamoci cauti”. Anche se in un’ecografia inermedia un medico ottimista disse “ma potrebbe anche arrivare a termine, chi può dirlo quando sono così piccoli?”.
Due settimane dopo il verdetto che Koris si aspettava è arrivato: la gravidanza non andava avanti, era troppo dubbia. Che si fa? Si prende una pillola per evacuare il tutto e si aspetta che abbia effetto. Si aspetta di nuovo, in compagnia di antidolorifici a base di oppio perché tempo un’ora dovresti essere prostrata dal dolore. Ma non succede nulla. Niente, zero, manco per sbaglio. Un’ora, due ore, tre ore in attesa. Alla quarta la dottoressa del pronto soccorso si scoccia e manda a casa Koris, riconvocandola due giorni dopo per vedere cosa succede. Koris passa 48 ore sul divano, con gli stessi effetti collaterali che se avesse preso una mentina, alienata davanti al computer perché qualunque cosa si possa pensare è di troppo.
Due giorni dopo, mercoledì, stessa scena. Un’ecografia rapida dimostra che c’è ancora il sacco, l’embrione sembra di no, ma bisogna comunque pulire tutto. Seconda pillola, questa volta Koris riceve la grazia di poterla prendere a casa per non dover passare altre ore a fissare il nulla. Tuttavia anche il cambio di location non ha alcuna efficacia, stesso effetto mentina. Koris non capisce, odia il suo corpo difettoso che non solo fa andare avanti processi fisologici, ma non vuole nemmeno dar retta ai farmaci. L’attesa delle 48 ore successive è snervante, il morale è a terra, lo stato mentale è putrido.
Venerdì Koris si presenta al pronto soccorso a digiuno, nella vana speranza che si possa fare subito l’intervento di aspirazione e chiudere questa storia che si protrae da troppo tempo. Il medico di turno sentenzia “non ci sono disponibilità fino a venerdì prossimo”. Altri sette giorni di attesa, Koris fa presente che potrebbe non reggere, le fanno presente che non ha voce in capitolo. Ciondola come uno zombie a fare le scartoffie per il day hospital da un reparto all’altro, piagnucolando non per quello che ha perso, ma per se stessa e sentendosi una stronza (e incompresa) per questa ragione. Venerdì prossimo sembra lontanissimo. Koris chiede di tornare al lavoro perché se resta ancora a casa in mutua è la volta buona che diventa matta.
Koris ha ormai perso ogni fiducia nella ginecologia, non cerca una maga sulla tv locale che possa risolvere il suo problema, ma poco ci manca. Cerca di fare una vita normale, con scarso successo. Nel mentre il Koris-organismo dà falsi allarmi che la situazione si stia risolvendo naturalmente, grazie alla luna nuova, grazie alle tisane, grazie al cazzo ma di certo non grazie ai farmaci. La cosa non aiuta perché Koris è in preda alle paranoie da tredicenne da “Cioè” (alter: seguono schifezze) in stile “Ma è abbastanza sangue? Ma dovrei trovarci qualcosa dentro? Ma è normale non avere dolori insopportabili ma solo minuscoli crampi, ma cosa sono, la versione scrausa di Morticia Addams?”. Le risposte latitano (quando le infermiere non sbraitano al telefono “deve saperlo lei se ha espulso l’embrione o no”), i giorni sono eterni.
Giorni passati senza sapere, quando alle soglie dell’intervento, con la sala operatoria già pronta (sorvoliamo sul sentirsi trattati come un pacco postale di frattaglie), Koris riesce a convincere un’infermiera gentile che magari si può fare un’ultima ultimissima ecografia fuori tempo massimo. E si scopre che la natura si è presa i suoi tempi ma ha finito per fare il suo dovere, quindi l’équipe medica può andare a pranzo e Koris a casa. A scrollarsi di dosso la puzza di iodio, con la sensazione di riprendere il controllo del pacco di postare di frattaglie che potrebbe tornare ad essere un corpo. Col pensiero fisso che non è finita come si sperava, ma comunque adesso è fintia davvero.
E niente, non c’è né una conclusione né una morale per questa piccola storia ignobile che andrà ad aggiungersi a tante altre. Si può dire solo che la vita va avanti nella sue incomprensibili e bislacche meccaniche che sfuggono alla logica di noi miseri umani. Non è dato sapere cosa ci riserverà il futuro, ma l’unica cosa che a Koris importa è che questa parentesi sia consegnata al passato.