Love Koris #8

Episodio precedente: Love Koris #7

Venne l’estate, vennero gli esami. Koris passava sempre più tempo in laboratorio, preferendo i neutrini all’essere umano che a lungo aveva agognato.
“Vuoi fare un turno al Gran Sasso?” disse scherzando la relatrice Micozza “No, sei troppo piccola, se vorrai continuare l’anno prossimo, forse…”
“Eppure io andrei più volentieri in turno che in vacanza con W.”
“Yaxara, cosa dici?!” si stizzirono membri fiduciosi dello Stato Maggiore.
“La verità. Questa vacanza non si avrebbe da fare, ma ormai abbiamo prenotato, per cui si va”
Koris passò giugno e luglio a colpi di esami, anche due in un giorno, lasciandosene solo uno a settembre, microelettronica, certa che laurea a ottobre la aspettasse senza difficoltà (illusa). Nel frattempo dubitava. Nel suo dubitare fu invitata a fare una scampagnata da Lerry, approfittando di una trasferta della Culona. In tre andarono a scalare il maledetto monte (r)Antola, per trovarsi senza acqua sulla cima e persi due volte su tre (in famiglia, per indicare una situazione particolarmente disagiata, si dice ancora “ma pensa al monte Antola!”). Fu in tenda che si dichiarò a Koris.
“Quando non ci sei tanto quanto, ma quando sei qui con me io non riesco a pensare a lei”
“Sforzati”
“Però mi viene da pensare a te, non a lei”
“Non pensarmi, potresti avere gli incubi”
Nota dello Stato Maggiore: un mese dopo questa conversazione Lerry annunciò che si sarebbe sposato con la Culona. Viva la coerenza.
Torniamo a Koris. Dopo essere discesa dal monte ed essersi resa colpevole di atti osceni (come buttarsi vestita in un abbeveratoio a causa del troppo caldo e mancanza d’acqua), Koris seppe che la partenza per il viaggio con W. era prevista per metà agosto.
“Ci vediamo a Milano e per arrivare a Mestre prendiamo l’Eurostar?” propose Koris, che dopo il campeggio del disagio aveva voglia di un viaggio comodo.
“Io prendo il regionale che passa da casa mia…”
“Ma ci mettiamo una vita!”
“Io non ho nessuna intenzione di venire a Milano solo perché ci sei tu. Beh, se vuoi ci vediamo a Mestre”
Koris era nel panico. A due giorni prima della partenza non voleva più andare, aggirandosi per casa come una belva in gabbia e scrivendo compulsivamente la sua tesi triennale.
“Io non parto. Se poi questo qui mi molla a Lubiana per andare per i suoi giri io che faccio? Mi metto a piangere? Mi lascio abusare dal primo che passa?”
“No, no, calma,” cercò di rassicurarla l’Amperodattilo “vedrai che non ti mollerà, non sarà così stronzo…”
“Oh, sì che può esserlo”
“Del resto a Lubiana c’è pieno di bordelli e di casinò…” disse U Babbu, fomentando l’ansia “se ti molla ti prendi il primo treno o aereo che sia e te ne vieni a casa, fregandotene della prenotazione e dei costi del biglietto. Di te ne abbiamo una sola, nel bene e nel male”
Era l’11 agosto e Koris aveva voglia di suicidarsi alla vista di Milano Lambrate. I Maiores imbarcarono la pargoletta sul treno col cuore gonfio di apprensione.
“Ti mandiamo in vacanza con questo qui senza nemmeno sapere che faccia abbia…”
“Consideratevi fortunati”
Il regionale partì e raccattò W. in un punto imprecisato della pianura padana, cosa che consolò in parte Koris, che temeva di essere stata già abbandonata fin dal principio, peggio che Arianna in Nasso.
“Ti piace il posto in cui vivo?” domandò W., orgoglioso delle lande padane feudo della Lega. Koris pensò al cielo estivo di Valinor, alla brezza marina, al riflesso del sole sull’acqua e preferì non dire niente.
“Che poi meglio qui che dove vivi tu,” proseguì l’incauto “Valinor è un posto schiacciato fra le colline e il mare, tutte le città arroccate. Ma non aveva più senso spianare i monti e congiungervi con la pianura?”
Membri nazionalisti dello Stato Maggiore erano sul punto di fare del regionale Milano-Venezia un mattatoio, ma si trattennero. Tutto sommato Koris si è sempre considerata apolide e ripete da anni il mantra “dovevo nascere un duecento chilometri più ad ovest” (un po’ meno ora che all’ovest si è trasferita), per cui se la prese in maniera moderata.
Ad essere onesti il viaggio non andò così male. Almeno fino a Mestre, perché la sfiga ferroviaria di Koris non l’ha mai abbandonata.
“L’Eurostar per Vienna è in ritardo di quindici minuti”
“Quanto tempo abbiamo per cambiare a Villaco?” domandò Koris, che se lo sentiva che qualcosa stava andando storto.
“Venti minuti, ma non preoccuparti, io non perdo mai le coincidenze” rispose W., spavaldo. Le condizioni dell’Eurostar per Vienna erano le seguenti: densità di popolazione degna della metropolitana di Tokyo, i posti di W. e Koris usurpati dall’overbooking, gente in piedi negli spazi più impensabili, toilette fuori servizio, aria condizionata in panne. Gente che si sentiva male e veniva buttata giù dal treno mentre W., madido di sudore, decantava l’inutilità delle alpi e di come sarebbe stato più sensato farne ghiaia da parcheggi. Al confine asburgico, Koris andò a chiedere lumi a un ferroviere austriaco.
“Scusi, il treno è in ritardo di mezz’ora, non è che potrebbe chiedere se a Villaco fanno attendere il treno per Lubiana?”
“Nein! Kolpa di foi Italienish!”
“Sì, fin qui non c’è dubbio, ma non se la prenda con me, io sono una vittima collaterale e il successivo treno per Lubiana è a mezzanotte…”
“A Villach fi arranghiate!”
Per uno strano calcolo cabalistico delle ferrovie asburgiche, i due riuscirono a scendere in corsa dal treno per Vienna e a gettarsi su quello per Lubiana, schiacciati dai loro stessi bagagli. A confronto dell’Eurostar, il treno pareva una limousine superlusso.
I due giunsero in ostello a Lubiana che era ormai ora di cena. Giunto in camera W. si stizzì.
“I letti hanno i piedi in comune…”
“Punto primo:” la Koris-diplomazia post viaggio ferroviario non esiste “io non arriverei ai piedi nemmeno se mi mettessero a dormire nella mia culla (n.d.K. Koris è corta, ma il suo lettino era enorme). Punto secondo: io te l’avevo detto di prendere camere separate…”
“Ma no, daiiiii!” fece il piacione “Camere separate fa tanto triste! Meglio dormire assieme”
Koris non colse e preferì andare a mangiare. Per cena, onde non rischiare troppo con la cucina locale, chiese un’insalata di pomodoro. Neutra, semplice, affidabile. W. la fissò con aria di superiorità.
“Siamo in un ristorante che dice di essere italiano, dovresti mangiare qualcosa di italiano”
E ciò detto ordinò una cosa orribile che millantavano di essere cannelloni alla parmigiana. All’arrivo dei piatti, W. si prese il piatto di portata ignorando bellamente il cameriere che intendeva servirlo.
“È più comodo così no?”
“Che buzzurro!” pensò all’unisono lo Stato Maggiore, pur sapendo che Koris è una sorta di campionessa mondiale del galateo ignorato a tavola. Appena rientrati in ostello, W. millantò un mal di testa e si infilò a dormire. Koris lesse due pagine di microelettronica per rappresentanza e si addormentò, certa di poter visitare Lubiana l’indomani.
La tragedia cominciò al risveglio.
“Credo che mi giri la testa” proclamò W. in un orribile pigiama.
“Credi che ti giri o ti gira?” domandò Koris, già di pessimo umore di buon mattino.
“Faccio colazione e mi passa, sicuramente”
Koris si stava servendo di una dose veramente enorme e indegna di yogurt con cereali più fette biscottate con nutella, quando W. fece per stramazzare sulla tavola.
“Sto male, sto male, voglio tornare in camera”
Gli ospiti dell’ostello di Lubiana godettero dello spettacolo dei 158 centimetri di Koris che trascinarono su per le scale un W. di un metro e ottantacinque. Deposto l’inferno sul letto, Koris tentò di capire quale morbo o malessere lo avesse assalito.
“Sto male, mi sento morire, sto male, sto malissimo, muoio!”
“Va bene, d’accordo, ho capito che muori, ma la causa scatenante quale sarebbe?”
“Sarebbe che mi sento morire!”
“Un po’ vago…”
“Pensa te, nato nella Bassa Padana e morto a Lubiana…”
“Ma si può sapere cos’hai?”
“Morirò qui!”
Ci volle un’ora e parecchia diplomazia per fargli dire che aveva mal di stomaco. Lo Stato Maggiore decise di correre al soccorso del sofferente.
“Senti, se vuoi io ho un medicinale che potrebbe aiutare, per me è una sorta di panacea gastrica universale, guarisce qualsiasi cosa…”
“Ho paura delle controindicazioni”
“Beh, va bene anche per le nausee da gravidanza, per cui se lo prendono anche le donne incinte è veramente innocuo…”
W. fulminò Koris con gli occhi, come se gli fosse stato proposto di curarsi con l’arsenico.
“Io non la prendo una cosa per le donne incinte! Chiamo mia madre, lei saprà cosa fare”
Il consulto con la madre, in cui Koris riuscì ad origliare qualcosa che aveva a che fare con “No, non è colpa di quella lì”, diede come responso il seguente rimedio: bere una coca cola calda e sgasata. Lo Stato Maggiore era dubbioso.
“È decisamente un rimedio originale, io sapevo che era meglio un the al limone…”
“Mia madre lavora in ospedale, avrà sicuramente ragione”
“Mi hai detto che lavora alla cancelleria dell’ospedale…”
“Facciamo come dice lei”
“Ah, ovvio, non ci metto lingua. Solo una domanda: siamo in un ostello a Lubiana, come conti di scaldare la coca cola?”
“Vai a metterla sotto l’acqua calda e che poi la bevo”
Koris obbedì di malagrazia sentendosi un’idiota con la patente. Portò l’intruglio al malato terminale, che lo trangugiò lamentandosi del gusto. La conseguenza del rimedio fu un cagotto incoercibile che si protrasse fino al ritorno in Italia, portando W. a visitare tutti i water dei Balcani, ma a questo punto della storia l’effetto sorprendente non aveva ancora manifestato la sua perfidia.
“Ora io dormo un po’. Tu resti qui, qualora avessi bisogno di aiuto, se dovessi morire all’improvviso…”
“Se stai così male forse è il caso di chiamare la guardia medica, non ti pare?”
“No, no, ora dormo e va tutto a posto”
W. giacque in posizione cadaverica, più verde che mai, praticamente in avanzato stato di decomposizione. Koris afferrò le dispense di microelettronica, perché se devi rovinarti una vacanza, tanto vale rovinarsela alla grande. Stava fissando in estasi la corrente nei BJT quando un pensiero piombò nello Stato Maggiore.
“Patetico”
“Cosa sarebbe patetico?”
“La situazione”
“Beh, ma lui è lì, poverino, sta male…”
“Non sto parlando della situazione in particolare, sto parlando in generale, da un anno e più a questa parte”
“Dici l’affaire con W.?”
“Sì, dico quello. Yaxara, esci dallo Stato Maggiore e pensaci bene. Che cosa provi?”
“Cosa provo?”
“Provi compassione? Sei dispiaciuta? Sei preoccupata?”
“Veramente mi girano le palle perché volevo vedere Lubiana, nient’altro”
“Cosa? Ma, capo…”
“E non è tutto. Perché non lo tocchi nemmeno? È alla tua mercé. Puoi baciarlo, adesso, non può farti nulla. Puoi accarezzarlo e dirgli che gli vuoi bene…”
“Perché…”
“Su, coraggio, Yaxara, ammettilo”
“Perché io non…”
“Ma Yaxara, un anno, tutto quanto, tante speranze…”
“Finisci la frase”
“Perché io non voglio. Perché io non voglio lui”
Un attimo di sgomento attraversò lo Stato Maggiore, ma ormai la verità, da mesi occultata nelle nebbie, era uscita fuori.
“Ci siamo sbagliate fin dal principio, non è lui che fa per noi. Abbiamo sofferto in vano, abbiamo investito tanto per niente, abbiamo mandato via Batrace per uno che non merita niente…”
“Ma non puoi cambiare idea così all’improvviso”
“Facciamo così: se entro la fine della vacanza, qualora fosse ancora vivo, riesce a stupirmi in meglio, gli concedo un’ultima speranza”
W. aprì gli occhi per l’ora di cena, davanti a una Koris disillusa e a digiuno da quasi ventiquattr’ore, passate senza toccare cibo.
“Mia madre mi ha detto che devo mangiare del pane. Vai a cercare una pagnotta”
“Sono le sette di sera, siamo a Lubiana, non parlo una parola di sloveno, dove pensi che possa trovarmela?!”
“Vai a cercare un fornaio”
Koris riuscì a trovare il pane, ma i morsi della fame la stavano divorando, rendendola cattiva come un lupo.
“Io devo trovare qualcosa da mangiare”
“Puoi mangiare quello che lascio della mia pagnotta”
“Manco po’ ‘o cazzo. Vado a strafogarmi con un qualsiasi cosa al self service qui sotto”
Koris cenò sola al tavolo, nel disperato quanto vano tentativo di non deprimersi, perché non è il massimo essere in vacanza e cenare con l’unica compagnia di una zuppa di funghi.
Il giorno dopo era prevista la partenza per Zagabria. Koris domandò al pestibondo se era in grado di viaggiare.
“Ah, ma tanto per tornare in Italia è più comodo essere a Zagabria. Pensa, l’aeroporto di Lubiana non ha nemmeno voli per l’Italia”
“Fantastico, allora da Zagabria mi sarà più facile rimpatriare la tua salma”
“Oggi sto meglio, ho solo strani segnali dal mio corpo…”
“Sarebbe a dire?!
“Non fare domande scabrose!”
Probabilmente non capì i sintomi nemmeno la farmacista slovena a cui venne chiesto consiglio, che elargì una scatola di nere pastiglie da Koris identificate come carbone vegetale. W. doveva prenderne sei. Ordinò a un bar un bicchier d’acqua e iniziò a cacciarvi dentro le pastiglie.
“Cosa stai facendo?” domandò un orripilato Stato Maggiore.
“La farmacista ha detto ‘put in water'”
“Intendeva ‘bevici dietro’, a mio avviso. Di sicuro non ‘crea un brodo nero con uno strano residuo di asfalto sul fondo’, direi”
Ciò nonostante, W. bevve l’intruglio, lasciando al cameriere un bicchiere inservibile.
Il viaggio in treno per Zagabria procedette senza intoppi fra i due, seduti lontani perché W. comandò “sediamoci dove capita”. Giunti a Zagabria, Koris propose di prenotare le cuccette per la tratta successiva, le otto ore in notturna in direzione di Spalato.
“Ma figurati, chi vuoi che prenda una cuccetta su quel treno da sfigati? Lo faremo all’ultimo momento prima di partire”
Nei due giorni in cui restarono a Lubiana, W. si comportò in maniera scostante, quasi che Koris gli desse fastidio con la sola presenza. Non gli andava mai bene dove mangiare, era sempre troppo caro, non gli piacevano i monumenti, diceva che era da troppo tempo lontano dal suo iBook.
“Io mi prendo un gelato” sbottò Koris il giorno di ferragosto, poco prima di partire per Spalato, al colmo della frustrazione.
“Ma dai, un po’ di rispetto, io sono stato male e non posso mangiarlo…”
“Non ti sto chiedendo il permesso, sono maggiorenne e le kune le ho io”
Koris ne uscì con un cono ricoperto di cioccolato che al suo interno conteneva cioccolato fondente, fragola e cocco, con sopra una colata di nutella e panna (quando gli venne raccontato, il Senzaddio definì il gesto “chiaramente freudiano”).
Quando i due profughi andarono per prenotare le cuccette, si scoprì che il treno per Spalato era completo.
“Le cuccette vanno prenotate almeno 24 ore prima”
Koris evitò di dire “te l’avevo detto” e accettò un posto a sedere in seconda classe. La notte venne passata schiena contro schiena con una ficona finlandese, mentre W. dormì rannicchiato nel suo angolo di egoismo.
Il treno giunse a Spalato con due ore di ritardo, mentre la pazienza di Koris era agli sgoccioli. W. sembrava annoiato dal mondo e non solo. Alla visita del palazzo di Domiziano sembrava desiderare che l’intera rovina si sgretolasse sotto i suoi occhi. Lo Stato Maggiore fece di un tentativo di acculturamento, impiegando quel niente che ricordava della storia dell’arte liceale.
“Studiare queste cose è inutile,” decretò W. “tanto sono solo rovine tanto valeva buttarle giù. Mi farei quasi restituire l’euro del biglietto”
Il giorno dopo Koris si godette le rovine di Salona, desiderando che U Babbu fosse con lei a raccontarle qualcosa. Invece aveva solo W., che era in simbiosi col suo cellulare, incurante di Koris che saltellava per il sito archeologico, impermeabile a qualsiasi genere di comunicazione. La vetta della depressione venne toccata durante la visita a Trogir. Dopo una visita ai vicoli, in cui W. annunciava l’inutilità di fare foto in vacanza (“A che serve? Te le vai a vedere su Google, fatte da gente esperta”), Koris si innamorò di una chiesa romanica per cui erano necessari tre euro di ingresso.
“Senti, io ci terrei a visitarla. Se non vuoi non venire, ci vado da sola. Un quarto d’ora e sono fuori”
W. consultò l’orologio.
“Non c’è tempo. Dobbiamo andare a prendere l’autobus per tornare a Spalato e prendere la nave per l’Italia”
“Ma sono le quattro, abbiamo l’imbarco alle otto di sera! Possiamo prendere quello dopo!”
“Non c’è tempo”
Nell’ora che impiegarono ad aspettare l’autobus, lo Stato Maggiore si convinse all’unisono che era finita. Stop. Ultima chance sfumata, evaporata. Maledizione senza perdono. Basta così.
Fu la nave Dubrovnik a riportare i due ad Ancora, in un viaggio notturno passato sulle poltrone, in mezzo a una folla di cafoni non indifferente. Erano appena salpati che Koris lasciò il bagaglio e la compagnia per andarsene a poppa a vedere il tramonto. Lo Stato Maggiore era scoglionato più che mai.
“Non è giusto. Questo è uno spettacolo bellissimo, andrebbe condiviso con qualcuno di speciale, non fissato con rabbia alla fine di una vacanza. Come sono furente! Furente e triste…!”
Koris si sentì circondare come da un paio di tentacoli. Era W., nella sua migliore imitazione di un abbraccio. E con un sorriso ebete in faccia a fissare il tramonto.
“Guarda, non è romantico?”
“Lasciami sola”
W. se ne andò e Koris non lo richiamò indietro. Il giorno dopo approdarono ad Ancona e l’ultima concessione di Koris fu di sacrificare un comodo Eurostar per prendere il regionale con W., che pareva desiderare recuperare. L’unica cosa che recuperò furono le ore di sonno, ronfando sul sedile a fianco a una Koris furibonda. W. scese in corrispondenza di Fidenza, lo Stato Maggiore giunse a Valinor disilluso, scontento, furibondo con sé stesso e col Koris-cuore in un barattolo, con l’intento di non concedersi mai più a nessuno.

Un po’ meno di un mese dopo Koris prese la batosta accademica che le rimandò la laurea di sei mesi. La sera stessa non cercò W.: si sciolse in lacrime sulla pagina di ICQ del Senzaddio.

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0 thoughts on “Love Koris #8

  1. Odisseo 24 febbraio 2011 alle 16:37 Reply

    Non ho letto le precedenti puntate ma … questa mi è bastata. A conferma che l’amore è veramente cieco, ma ci si sveglia prima o poi e si riesca vedere la realtà (ma a volte è troppo tardi). Punti positivio del viaggio: il megagelatone (concordo, certamente liberatorio) e la notte i treno spalla a spalla con la ficona finlandese (ma solo se sei di vedute sessuali aperte). Spero di aver compreso bene chi è lo Stato Maggiore e chi è Koris 🙂

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  2. Yaxara 24 febbraio 2011 alle 16:54 Reply

    @Odisseo: con le precedenti si compone una sorta di poema pseudo-epico in chiave comica che dimostra che spesso si insiste ad andare avanti nella direzione sbagliata solo per testardaggine.
    Il viaggio andrebbe rifatto, soprattutto sulla costa croata, perché il carico di incazzatura era notevole e ha offuscato la piacevolezza dei luoghi. Quanto alle vedute sono abbastanza aperte. 😉
    Per comprendere Koris e lo Stato Maggiore, avevo un tempo scritto questo. Dovrebbe fare un po’ di chiarezza.

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  3. Odisseo 24 febbraio 2011 alle 17:02 Reply

    Diamine, dopo aver letto la spiegazione, mi sento improvvisamente solo con me stesso! 🙂

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  4. Yaxara 24 febbraio 2011 alle 17:15 Reply

    @Odisseo: facciamo cambio? Qui siamo troppi…

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  5. Odisseo 24 febbraio 2011 alle 17:39 Reply

    almeno non vi annoiate 🙂

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  6. L'Incognito 24 febbraio 2011 alle 18:48 Reply

    Le koris-love nel totale mi sembrano un manifesto sull’istinto e la ragione. La Yaxara di queste storie mi pare istintiva, forse troppo, e finisce per farsi male, anche troppo.
    Non ho capito perché il gelato è freudiano (a meno che non c’entri un pene -o la mancanza di). Ma io sono un’ingenua.
    La conclusione mi pace tantissimo, leggermente romantica senza glucosio rovesciato sopra 🙂

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  7. LadyMarica 24 febbraio 2011 alle 18:48 Reply

    Quella sopra è LadyMarica con un computer che vuole scherzare. Anche se il 99% dei problemi di un pc è in chi gli è di fronte (pare) 🙂

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  8. Yaxara 24 febbraio 2011 alle 19:58 Reply

    @Odisseo: qui non ci si annoia mai, si trova sempre qualcosa da fare!
    @LadyMarica: posto che la battuta sui pc non è corretta, a mio avviso, i pc dovrebbero pensare di più.
    Le love-Koris sono state scritte sostanzialmente per prendermi in giro (e per prendere in giro anche le controparti maschili, ma in secondo piano… pensa che in questo post mi sono persino dimenticata che il rimedio generò un cagotto incoercibile), però ammetto che sì, sono il trionfo dell’istinto sulla ragione. Ripensandoci, erano tutti periodi in cui mi sentivo sola e sono andata a cacciarmi in situazioni spiacevoli pur di avere qualcuno accanto. Succederebbe anche adesso se non avessi il Senzaddio a portata di Skype. Gli ultimi due Love-Koris con W. possiamo definirli un accanimento terapeutico, un cercare disperatamente qualcosa che non esiste pur di non riconoscere di avere torto.
    Il gelato freudiano era una frustrazione affettiva. Freud direbbe una voglia di pene, ma perché Freud è un maniaco. 😛
    La conclusione era doverosa, ma spero non dia adito a eventuali sequel. Per ora stiamo bene così. 🙂

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  9. Odisseo 25 febbraio 2011 alle 09:23 Reply

    Il gelato, come raccontato e descritto, era l’apoteosi del godimento, la soddisfazione dei sensi, un modo di risarcire anima e corpo di tutto quello che era successo. Aveva un senso estremamente compiuto (ma temo che con il pene c’entri poco, anche se Freud un collegamento l’avrebbe comunque trovato, è indubbio)

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  10. Yaxara 25 febbraio 2011 alle 09:43 Reply

    @Odisseo: il gelato è l’unica cosa che mi ha salvato dal suicidio, suppongo. Che poi il cioccolato generi endorfine è un altro discorso. 😛

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  11. Pacatamente 25 febbraio 2011 alle 10:40 Reply

     Bhe, comunque l’epifania del non voler lui, per quanto orribilmente in ritardo, è stato un evento di svolta da romanzo di formazione.
     

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  12. Odisseo 25 febbraio 2011 alle 11:21 Reply

    E le endorfine sono importanti, chi sono io per negarlo? (e anche se lo negassi, sarei un grande bugiardo)

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  13. Yaxara 25 febbraio 2011 alle 12:05 Reply

    fu abbastanza scioccante quando me ne accorsi. Avevo perso più di un anno dietro a uno che non meritava nientissimo. Diciamo che è stato quello a permettermi di lasciarmelo definitivamente alle spalle. Poi hai visto che alla fine il Senzaddio è arrivato? 😛
    @Odisseo: le endorfine prima di tutto!

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  14. Faber 1 marzo 2011 alle 09:09 Reply

    Io ci farei un film sopra… altro che Moccia!!!
    Cmq W. scagazzante, tuttosommato, è assolutamente assimiliabile all’affine maledizione di Montezuma:)

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  15. Yaxara 1 marzo 2011 alle 09:17 Reply

    @Faber: ah, sì, a posteriori sembra decisamente la maledizione di Montezuma! Lì per lì mi aveva seccato parecchio.
    Per il film stiamo trattando con la Paramount per i diritti. 😛

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