Post un po’ fuori dalla consuetudine del blog, quindi stavolta in prima persona. Ho iniziato a cercare informazioni sulla possibilità di conciliare speleologia e gravidanza, col risultato che… beh, senza grandi risultati. Del resto gli speleologi sono una comunità a se stante, le speleo-femmine sono poco comuni, le speleo-femmine incinte una rarità. A parte le esperienze scambiate di persona e qualche citazione in resoconti speleo, l’unica fonte che ho trovato era un forum inglese del 2008, ora purtroppo sparito dal web. Nemmeno a dirlo, la bibliografia è molto più vasta in tema di arrampicata: per fortuna certi aspetti sono traducibili, altri purtroppo no (tanto per dirne una, la corda in arrampicata è un attrezzo di sicurezza, mentre in speleo è usata per la progressione, il che cambia tutto). Quindi mi sono detta “perché non raccontare come l’ho vissuta io?”, hai visto mai qualche futura speleologa si faccia le stesse domande.
Disclaimer: non è necessario dirlo, questo post non ha nessuna velleità di essere uno studio medico controllato in alcun modo e tanto meno vuole dare direttive in tal senso. Si tratta di un’esperienza personale vissuta da me, nelle mie condizioni fisiche e per quanto riguarda questa gravidanza (si ricorda al gentile pubblico che non solo ogni donna è differente, ma anche ogni gravidanza è differente). Secondo dato di cui vale la pena tenere conto: non ho deciso “yeah, proviamo a fare speleo, questa esperienza nuova!” appena ho visto le due linee rosse sul test di gravidanza. Pratico da otto anni, ho all’attivo più di trecento escursioni e non sempre nei luoghi più confortevoli, ho una formazione del soccorso speleo francese. Insomma, non sono una professionista, ma non sono nemmeno una novellina che ha messo l’imbrago l’altro ieri. Soprattutto ho imparato la lezione fondamentale in grotta che è “saper rinunciare”, ancora più importante in circostanze particolari come quando si è incinta. Bonus: ho avuto il vantaggio di essere sempre accompagnata in grotta dal futuro-papà che è sempre stato molto attento alle mie necessità (talvolta anche troppo…) e pronto a fare dietrofront al minimo segno. Per chi pratica in un gruppo un po’ meno disponibile potrebbe essere più difficile, immagino.
Messe in chiaro queste due cosette, andiamo con ordine…
Primo trimestre: sono rimasta incinta durante il campo di esplorazione estivo e com’è ovvio per le prime due-tre settimane non mi sono accorta di niente, ho continuato a uscire senza dubitare di nulla e senza risparmiarmi fatiche come portare pesi su lunghe distanze, armare, aiutare gente meno esperta nelle manovre.
I problemi sono iniziati con la quarta settimana e il vero e proprio ritardo del ciclo, sotto forma di idiosincrasie alimentari che non mi lasciavano mangiare quasi nulla, accompagnate da perenne acidità di stomaco. Nonostante sia fra le fortunate che non hanno dovuto correre in bagno a vomitare l’anima, la sotto-alimentazione si è tradotta in una fatica debilitante che, combinata agli ormoni, hanno reso le uscite in grotta difficoltose e poco piacevoli. Il tutto è peggiorato da una sorta di distacco corpo-cervello, perché la testa sa che puoi scendere quel P100 come hai fatto altre volte, ma il corpo non ne vuole sapere di ingurgitare anche solo un boccone di più di quel panino al prosciutto, pertanto è più saggio lasciar perdere.
Sul piano psicologico avevo molta paura che il movimento della risalita coi bloccanti potesse portare a un aborto spontaneo per distacco dell’embrione, tuttavia la cosa non sembra fondata. Per le arrampicatrici si dice che il vero pericolo in tal senso sia rappresentato dalle cadute: nella risalita su corda non si cade per definizione, si resta appesi. L’unico consiglio valido che mi sento di dare è evitare di portarsi dietro sacchi di venti chili appesi all’imbrago.
Ho iniziato a stare meglio verso la fine del primo trimestre (forse anche rassicurata dallo svolgimento della gravidanza non-patologica) e anche la pratica speleo ne ha giovato. Tuttavia la fatica accumulata non è sparita per magia e mi sono ritrovata molto meno in forma di quanto non fossi in estate. Il lato positivo è che si comincia ad abituarsi un po’. Qualcosa che in poche si aspettano è l’aumento di volume del seno, che può farsi doloroso a seconda del pettorale, ricordo che dopo ogni risalita dovevo allargarlo al più presto perché era una tortura, nonostante abbia sempre avuto delle tette minuscole.
Secondo trimestre: ne ho discusso anche con altre speleo-femmine, il secondo trimestre è senza dubbio il momento migliore. I problemi col cibo hanno iniziato a risolversi (ho ricominciato a mangiare la pasta, evviva!), il passaggio allo stadio fetale mi dava l’impressione di una maggior protezione, la botta di ormoni in circolo ha iniziato a diventare la norma. Per quanto questo mi abbia permesso di essere più a mio agio sottoterra, mi sono ritrovata a dover affrontare un fastidiosissimo respiro corto durante le risalite e a dovermi fermare più spesso di quanto non volessi. Ho dovuto imparare a rallentare il ritmo per evitare di ritrovarmi senza fiato, sentendomi scarsissima perché fino a tre mesi prima risalivo pozzi fischiettando, in velocità e con un sacco appeso alle chiappe.
Questo è stato il periodo in cui il futuro-papà mi ha proibito di avventurarmi in qualunque strettoia a suo dire troppo severa, nonostante la mia pancia ancora pressoché inesistente. Ho smesso di affrontare meandri che non si passassero “di faccia” e ho avuto l’accortezza di cercare di strisciare sulla schiena nei passaggi più bassi; c’è da dire che anche prima della gravidanza non mi divertivo a sbattere l’addome su qualunque concrezione sporgesse dalla parete, quindi non è cambiato granché. Ho smesso di armare le cavità per diminuire il rischio di cadute o di movimenti che sollecitassero troppo gli addominali, ma ho continuato a disarmare quando mi sentivo a mio agio, peso dei sacchi permettendo.
L’imbrago ha iniziato a stringere a secondo trimestre inoltrato e sono stata molto felice di avere un modello confortevole con sottocoscia e cinghie larghe (Varonia II di MTDE, ma uso lo stesso da sempre, non l’ho cambiato per l’occasione). Una cosa che ha iniziato a darmi fastidio è stata portare la saccoccia alla cintura, che essendo attaccata sull’anca tirava sulla pancia; c’è da dire che ho la brutta abitudine di metterci un sacco di roba fra equipaggiamenti di emergenza e batterie di ricambio, quindi il minimo è stato togliere almeno il mezzo litro d’acqua abituale. Inoltre chi dice “allargare l’imbrago” dice anche “inizio dell’aumento di peso”, con muscoli che potrebbe non aver fatto in tempo ad adattarsi. A fine secondo trimestre mi sono spesso trovata a dover scegliere marce di avvicinamento brevi e pochi pozzi onde evitare di ritrovarmi a pezzi a fine giornata.
Nota più divertente: è il periodo in cui si iniziano ad avvertire i movimenti fetali. In grotta mi pareva di avere qualcuno che mi sgambettasse dentro all’imbrago e puntasse i piedi contro le cinghie…!
Terzo trimestre: mi avevano avvertito che dal punto di vista speleo il terzo trimestre sarebbe stato difficile. Il problema numero uno è stato l’aumento di peso quasi repentino, senza che i muscoli si abituassero. Ricordo di essere rimasta sorpresa dalla velocità con cui la corda filava nel discensore, come se i 10 kg di più si fossero fatti sentire all’improvviso. Ormai le uscite speleo non hanno altro obiettivo se non mettere il naso sottoterra per pensare ad altro, fare più di un P20 sembra complicato. Ho dovuto abbandonare la mia tuta XS per metterne una del mio compagno, altrimenti non sarei riuscita a chiuderla.
Ho capito che era il momento di prendersi una pausa dalla speleologia alla trentunesima settimana, quando mi sono seduta nell’imbrago e ho sentito le ossa del bacino chiedere pietà sotto il peso della pancia ingombrante. Siccome non mi sentivo più a mio agio, ho detto basta, a malincuore. Forse se avessi avuto a disposizione delle grotte orizzontali facili non troppo lontano da casa avrei continuato ancora una settimana o due, ma i lunghi tragitti in macchina mi portavano un mal di schiena fastidiosissimo, quindi non è stato fattibile. Certo, il morale ne ha un po’ risentito.
E poi? Ho partorito una bambina sana un po’ prima del termine, a 37 SA e quatre giorni. Sono stata fortunata e ho avuto un parto tutto sommato semplice. La speleologia mi ha aiutato a gestire mentalmente il travaglio: è un passaggio obbligato e sgradevole, ma tocca mettersi il cuore in pace, di lì bisogna passarci per tornare in superficie! Adesso, a quasi due settimane dal parto, fisicamente sto abbastanza bene, non so se sia merito dell’essere rimasta attiva o solo fortuna. La mia testa non desidera altro che poter rientrare nella tuta di prima, rimettere il casco e ributtarsi in un -200 con meandri, tuttavia credo toccherà andare per gradi e organizzarsi…
Lo ripeto ancora una volta: questo non è un post di raccomandazioni mediché né una sorta di pubblicità “la speleologia vi farà vivere la gravidanza in serenità”. E ancor meno una vanteria da WonderWoman sono-la-mejo: ho fatto quello che ho fatto perché me lo sentivo e perché mi faceva stare bene, ho detto stop quando sentivo il limite avvicinarsi, ho rinunciato forse a torto in alcune circostanze (ad esempio in un P30 di un solo tiro durante il secondo trimestre, forse potevo farlo). Per me è andata bene così, come per altre può andare bene appendere l’imbrago nell’armadio subito dopo il test di gravidanza o andare in grotta fino alla quarantesima settimana. Come dice l’arrampicatrice Caroline Ciavaldini nei due video “New life” e “Baby steps” (che mi hanno aiutato a comprendere e riflettere su alcuni aspetti), bisogna trovare un equilibrio fra essere felici ed essere egoisti.
P. S. Nelle foto sono sempre io, le ha fatte l’ormai ex-futuro-papà.