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Traslocazzo

Titolo da intendere come più vi aggrada.

Giovedì scorso è stato il giorno tanto temuto e paventato da marzo in poi, ovvero quello del trasloco del laboratorio negli uffici cosidetti temporanei. Sì, quelli in cui c’erano i ratti, forse scomparsi per magia, forse assunti in quanto nuovi co-workers. Ne sapremo di più al primo cavo di rete sgranocchiato, che potrebbe essere molto presto. A parte lo stanzino di tre metri quadri da condividere con altre due persone, le tende rotte e il sole in faccia fino alle dieci e la scrivania formato banco di scuola elementare, a Koris è andata ancora di lusso. Qualcuno ha ancora i buchi di sopra-citati ratti. Altri non hanno la rete perché boh, misteri. Altri ancora mancano di prese o di maniglie per le porte.

In generale, nell’edificio c’è l’elettricità ma non le luci, causa crollo di un soffitto che ha portato a tagliare tutta l’illuminazione. E non c’è nemmeno acqua potabile perché è rimasta troppo tempo nelle tubature e non si sa che in stato siano questi tubi. Interpellato in merito, Capo Giuseppi ha detto “vabbè, ma è temporaneo, sono solo sei mesi”, proponendo le seguenti soluzioni per l’acqua: farla scaldare nel bollitore abusivo e lasciarla eventualmente raffreddare, oppure andare ad abbeverarsi all’edificio vicino, per inciso un laboratorio che studia gli scambiatore termici dei reattori ad acqua, quindi se ne capiscono. Per fortuna il capo del capo di Capo Giuseppi dallo stipendio di giada, venuto in visita pastorale presso gli sfollati, ha detto a) che Capo Giuseppi è diversamente intelligente (Koris ha provato sentimenti indegni) b) che almeno l’acqua potabile ci sarà. Per la luce possiamo aspettare, finché è estate non c’è problema e in seguito le lampade ad olio sono molto suggestive.

Koris condivide lo stanzino e il suo groviglio dei cavi con un tirocinante più sveglio della media e con uno del laboratorio gemello. Costui fa cose sperimentali con le sezioni d’urto e ha collaborato con Neutronland. A Koris si è stretto il cuore, è salito un magone in gola e poi si è affacciato Toranaga dicendo “peace was never an option”. C’è chi dice che quaesta sitauzione potrebbe durare anche un anno, quindi magari si potrebbe sfruttare questo tempo (e la lontananza geografica di Capo Giuseppi) per trovare una sistemazione migliore. Toranaga è già a fare piani perché le pentole a pressione nucleari sono belle ma non ci vivrei, e la gestione di Capo Giuseppi è più che perfettibile.

Com’è noto, l’emozione principale di Koris è la rabbia e in questo periodo si incazza per un nonnulla, come un drago sottoposto a dieta macrobiotica. Si incazza perché mancano ancora diciotto giorni alla partenza per il paese dalla pendenza e pluviometria importanti e in diciotto giorni può succedere di utto. Si incazza perché c’è il coviddi e allora che si deve fare, andare dai ruolisti e rischiare l’appestamento o dare buca e rosicare? Si incazza perché le carte di consumo dell’uranio hanno abboffato la uallera (Junior cit.) e continuare a fare cose senza un criterio sarà sempre e solo una grossa perdita di tempo. Si incazza perché vorrebbe essere a -400 e tutto le rema contro, ritrovandosi invece a sorvegliare principianti a -60. Si incazza perché la vita non va dove vuole lei. Si incazza perché doveva mandare quel curriculum a Neutronland, senza farsi condizionare dalle vuote promesse di Capo Giuseppi e affini (la prossima volta che penserà a bazzecole come la lealtà o la parola data Koris si prenderà a sprangate da sola). Si incazza perché vorrebbe mangiare patate col lardo e invece ci sono sei milioni di gradi. Si incazza perché si incazza.

Magari può addrestrare i ratti a fare le carte di consumo dell’uranio al posto suo.

Sommersi dalle scatole

Asfissia e pozzi piscioni

La prossima settimana Koris prevede tre scoppiettanti giorni di 8-18 con dieci minuti per mangiare. Dato il presupposto, visto il tentativo di lamentarsi di meno sul blog, si cerca di fare uno speleo-post della domenica di novembre. ‘thieu, invece, essendo una persona utile, fa una torta di mele.
Questo sarà uno speleo-post con tutto quello che ne consegue, nel bene e nel male. Un post che rutta in pubblico, in pratica, e forse non chiede scusa.
Nel ponte dei santi il piano originale prevedeva una fuga nel Vercors, a speleo, zuppa e rock’n’roll, ma visto il meteo avverso un po’ ovunque si è dovuto ripiegare allo “stare a casa e sperare di fare speleo qui”. Koris se ne ha avuto a male, ma pazienza.
Il venerdì c’è stata questa ottima idea di andare in grotta nel Gard, dipartimento che ha una specialità: l’anidride carbonica. Piccolo momento di divulgazione: non è chiarissimo come l’anidride carbonica passi sottoterra, ma probabilmente è portata dall’acqua. Negli ultimi tempi ha piovuto a iosa. Ergo l’anidride carbonica è arrivata in basso.
Alla testa dell’ultimo pozzo Koris ha iniziato a sentire il bisogno di fare respiri profondi. Si è detta che è la fatica, l’età, il rosico assortito degli ultimi, il malumore. Poi, scesa al primo frazionamento, le è presa una svergola. I due o tre neuroni che di solito giocano a tressette si sono connessi vista l’emergenza e Koris ha realizzato: quel posto era pieno di CO2. Koris è arrivata in fondo al pozzo che aveva lo stesso respiro di Darth Fener e la capacità polmonare di Bazilla, noto fumatore industriale di Marlboro (e probabilmente azionista della stessa). Gli altri iniziavano appena ad accorgersene mentre Koris rantolava e risaliva verso contrade più ossigenate. Fra tutti i difetti che accumula, Koris ha anche quello di essere un canarino da miniera: è la prima ad accorgersi se ci sono gas molesti.
Il sabato nel Var, al Jas de Laure, non doveva esserci questo rischio. Almeno, non l’asfissia. Koris è già caduta in trappola quando ha scoperto che il pozzo d’ingresso era da 58 metri e Koris adora i pozzi grossi come le puntine sulle sedie.

Sì, 58 metri di nulla. Non dite che non eravate stati avvisati.

Ma c’è di più. Scesi al primo frazionamento, il pozzo ha mostrato tutta la sua incontinenza scaricando sugli incauti speleologi tutta l’acqua assorbita nei giorni precedenti, sotto forma di stillicidio convinto. Al secondo frazionamento, lo stillicidio era una doccia.
Koris era a una decina di metri dal fondo e già fradicia quando ha visto qualcosa che non avrebbe voluto vedere: un nodo sulla corda. Secondo momento di divulgazione: i nodi sulle corde in speleologia sono affrontabili con una sequenza-balletto appesi ai vari bloccanti nel nulla ipogeo. Solo che, in questo caso, ha allungato i tempi di permanenza sotto la doccia. All’andata e al ritorno.
Ogni volta che fa queste cose una parte di Koris giura che mai più, oh, certo, non mi rivedono mai più. Poi si dimentica del giuramento. Fino all’asfissia o al pozzo piscione successivi.

Uno smodato desiderio

La lista delle cose materiali che Koris vorrebbe è piuttosto lunga. A cominciare dalla Pentax K-3 per sostituire la sua ormai vetusta e settenne K-x, per arrivare fino a qualche libercolo che ora come ora ha poco tempo per leggere (ma lo trova lo stesso, discorso che meriterebbe un post a parte). A sedare una buona parte delle Koris-voglie consumistiche ci pensa ogni mese il mutuo, di tanto in tanto in mortale combo con le bollette e le spese di condominio. Senza contare la visita annuale delle tasse, che casca a fagiolo tipicamente quando avanzano due soldi che pensavi ti devolvere al Dio del Consumismo (e senti nel cervello la voce dello Sceriffo di Nottingham, il Vecchio Bracalone, che dice “un soldo risparmiato è un solo guadagnato… per noi!”).
Ma questo non è un posto economico-consumista frustrato, anche se ci assomiglia.
Nel profondo di quella landa desolata e ventosa che i romantici chiamano cuore e gli psicologi parte inconscia, Koris cova un unico grande desiderio immateriale. Non lo chiameremo sogno perché i sogni sono buoni per i bambini e gli adolescenti brufolosi, tanto a trent’anni il signore dei tuoi sogni è necessariamente Freddy Kruger.
E no, non è svegliarsi una mattina con una grossa eredità da parte di uno sconosciuto parente latino-americano per quanto sarebbe apprezzabile. Non è nemmeno essere assunta a pieno titolo dai Neutroni Porcelloni, in virtù dell’antico brocardo “attenta a quello che desideri, potrebbe avverarsi” (tanto a quello ci pensa Toranaga). E non è manco svegliarsi e trovare quei dieci centimetri che la Natura Matrigna le ha negato.
Koris ha scritto una… roba (“e vabbè, che solfa, lo sappiamo” direte e ci avete anche ragione).
Se un tempo su questa… roba Koris nutriva grandi speranze, ora le ha in qualche modo ridimensionate. Si invecchia, si vedono le cose diversamente. Ma non divaghiamo.
Lo smodato desiderio di Koris è che la… roba venga letta. Per ora è stata letta da qualcuno, ma sono tutte persone che hanno (alcuni avuto) un legame con Koris: U Babbu, Orso, Iset, Batrace e pochissimi altri. C’era sempre un vis-à-vis, un “eddai, fammelo leggere”, un accollo da parte di Koris a chiedere commenti più o meno spassionati.
Ora, Koris non pretende di essere la rivelazione letteraria del XXI secolo. Koris vorrebbe solo una cosa per la… roba: che dieci sconosciuti totali (non amici di amici, sconosciuti) la trovino e la leggano. Non mille, non cento, a Koris ne basterebbero dieci. Il non plus ultra sarebbe che la… roba piacesse a una di quelle dieci persone. Koris si riterrebbe soddisfatta (poi in realtà no perché Koris è una sostanziale testa di cazzo, ma sarebbe un inizio).
E poi è vero che finché le… robe stanno sulle penne USB o negli hardisk nessuno le leggerà mai, ma quello è un altro discorso e #cistolavorando.

L’Ammazzatoio o forse no

Trama (per sommissimi capi) dell'”Assommoir” secondo Zola: lei si fa il culo per ore e ore al giorno, lui la molla perché ha delle idee farlocche in testa. Lei si dispera, poi si riprende, si rifà il mazzo e si ricostruisce una vita. Incontra uno che non è gigione quanto il primo ma poco ci manca, ci flitra e se lo sposa. Quando tutto sembra finalmente andare per il verso giusto, lui ricompare facendosi invitare a pranzo. Da lì è un attimo a rientrare nella vita di lei. Prima a pranzo, poi a dormire, poi a farsi mantenere. Appena la situazione declina, lui la molla per una biondastra. Il marito di lei diventa alcolizzato e muore in manicomio, lei finisce i suoi in un sottoscala sudicio. Sipario e conseguente ansia da smaltire a tomi di high fantasy.

Trama dell'”Assommoir” secondo Koris: lei si tollera il Replicante prima e la Tacchettina poi, lui la molla perché ha delle idee farlocche in testa. Lei intraprende una cura a base di soffritto e salame, ricostruendosi casa e cercando un lavoro decente. Incontra uno che non è gigione quanto il primo ma poco ci manca, che le invia sms del calibro di “Bonne nuit, ma belle”. Lei risponde a pernacchioni sarcastici e il gigione di cui sopra si mette a uscire con la Dama delle Vertigini. Lei pensa di averla scampata bella, nel frattempo appaiono spiragli fra le nubi lavorative e arrampica come se non ci fosse un domani, fino a farsi un 6a che la riempie di gioia. Quando tutto sembra finalmente andare per il verso non giusto, ma almeno non troppo sbagliato, lui ricompare facendosi invitare a pranzo. Lei si scombussola, passa la serata sospesa fra i biscottini Genoise e il barattolone della Nutella tossica, guardando “Il destino di un cavaliere” anche se lo conosce a memoria. Poi elargisce l’unica risposta plausibile: “sticazzi”.

Che forse Koris finirà comunque i suoi giorni in uno sottoscala sudicio nel ventre di Parigi. Ma almeno lasciamo che “A Volte Ritornano” resti il libro horror che Iset e Koris quattordicenni leggevano sotto le coperte a Limone Piemonte. Senza che sia la vita ad essere un horror. Che è vero che la Contessa d’Almaviva alla fine perdona il marito ne “Le nozze di Figaro”, e anche che più dolce io sono e dico di sì, ma chi ce lo dice che Beaumarchais non avesse in programma una sequel* in cui Rosina finiva alcolzzata in un lurido sgabuzzino di Siviglia?

* Poi si scopre che è vero, lo ha fatto!

Vertigini

Ammettiamolo e smettiamo di guardare intensamente il pelo nell’uovo, cominciare a sentire un senso di vertigine con cinquanta metri di vuoto sotto le chiappe potrebbe anche essere accettabile senza marchio di infamia. Che in fondo il limite del falesista sta a quaranta metri e forse se togliamo il vento a raffiche gelide e l’effetto “Livanos colpisce ancora”, magari passano anche le vertigini. Quello non tanto normale è arrivare a terra e dire “quando lo rifacciamo?” dopo aver passato i precedenti trenta metri a ripetersi “non guardare in basso, guardati i piedi” mentre si scendeva. Ma sono Koris-problemi di chi si fa 48 ore di arrampicata e arriva alla domenica sera devastato ma re del mondo.
Vertigine ben peggiore è invece dover correggere cinquanta pagine di rapporto di stage, in tutto 120 ore di esperienza, e accorgersi che sono cinquanta pagine di cazzate. E sapere che era il gruppo che seguivi tu, cosa che ti genera una certa dose di sensi di colpa anche se ti rendi conto che ci avevi provato a riprenderli e a dire loro il solito mantra sulle cifre significative, sull’organizzazione del testo, sui grafici e sui dettagli. Forse non sei stata chiara tu, forse sono loro che erano troppo presi nei loro cazzeggi (il Bazilla sulla spalla propende per la seconda ipotesi). Forse hai dato troppo per scontato tu, però è anche vero che alla loro età tu calibravi microscopi per OPERA maneggiando emulsioni nucleari col Relatore che ammetteva candidamente “io di ‘sta roba non so nulla, non posso aiutarti” (se non fosse stato SirriSan…), mentre loro avevano da infilare tre sonde in un forno. Roba che a Boulogne nelle nebbie di Avalon si faceva al primo anno e anche di corsa.
Forse non sei una brava insegnante, forse non sai importi abbastanza. Come quel gruppo che non sapeva andare avanti e tu hai suggerito “provate a connettere l’altra boccola”, ma loro niente, erano convinti che non potesse funzionare. Poi avevi ragione tu, ovvio, ma intanto…
Poi ci sono le chiamate della Tacchettina (che ora fa stalking telefonico proprio mentre tu speri che chiami il custode del Graal, accortosi magicamente di te) che vuole piazzare altre ore di lezione, che vuole che tu verifichi cose a caso hic et nunc, a cui tu riattaccheresti il telefono in faccia sbottando “prendi meno anfetamine”.
E ti tocca montare un progetto sulle resistenze a espansione che tu non avevi mai visto prima di novembre, di cui non ti frega anche nulla, che andranno ad ammassarsi fra i tuoi mille inutili insegnamenti (e nessuno ti ha ancora validato le ore, in tutto ciò). E c’è quel momento in cui vorresti scoppiare a piangere, come quando il rinvio è troppo lontano, urlando “non è così che doveva finire”.
C’è comunque una parte di te che dice “se riesci a montare un progetto su una cosa conosci appena puoi fare qualunque cosa”, però è un senso di depressione per dover presentare sempre qualcosa di raffazzonato e preparato come se fosse un Quattro Salti in Padella Findus. Ti piacerebbe ogni tanto poter fare un corso in cui sei veramente ferrato e non un “Laboratorio di strumentazione industriale” con la coscienza che ti rimprovera di aver appreso ieri come funziona una valvola idrica. Però tutto questo sul bando di concorso non figurava.
E poi la coscienza mormora che è una settimana che non ti degni di mandare un curriculum seriamente, quindi forse sarebbe anche il caso di occuparsene. Senza contare che poi arriva immancabile la vertigine del “chittevole?” e ti piglia lo sconfortone perché anche solo a preparare il concorso da professoressa non lo passeresti mai. Vero che c’è un po’ di margine, vero che a fare la cassiera c’è sempre tempo. Ma vero anche che il Graal lo trova Parsifal e tu non sei nemmeno cavaliere del tavolino del salotto.
E che vorresti comprarti da mesi la guida di arrampicata della Sainte Victoire, ma se poi ti spediscono a spalare carbone a Lille che te ne fai?
Intanto ti chiedi come cappero sei sopravvissuta all’anno scorso, quando ancora non avevi il culo parato e nemmeno il dottorato, con due uomini capricciosi in perenne sindrome premestruale (uno in laboratorio e l’altro a casa) a pretendere sempre di più e non arrampicando mai.
Qualcuno dice che la fortuna bisogna procurarsela. Al limite tirando sul rinvio.

relais

Il mio posto è là, fra i miei moschettoni arancioni.

Acceleratore di femminilità

Post cialtrone. Perché i post cialtroni salvano l’esistenza, i post cialtroni ti fanno pensare che ci sia altro nella vita, e perché i post di lamentele si scrivevano già a maggio 2010, quindi basterebbe semplicemente fare un copia-incolla

Ci sono periodi, soprattutto nella vita di un essere umano di sesso femminile, in cui ridurre le proprie funzioni vitali extra lavorative alla letargia non è una scelta, ma una necessità. I Francesi lo chiamano “metro-boulot-dodo”, che poi significa “metrò-lavoro-nanna”, trittico di una vita piuttosto miserabile. Se poi si tratta di un dottorando a fine contratto, spesso la prima e l’ultima parte coincidono e tocca sperare di abitare non troppo lontani dal capolinea.
Qualora la miseranda situazione sia applicata ad un organismo femminile, si ha la de-evoluzione da donna a individuo-femmina, tipicamente asessuato e, per usare un aggettivo caro alla Cuginastra, sinceramente inchiavabile. Uno spettacolo terrificante e repellente per qualunque individuo dall’altro sesso. O anche dello stesso, perché no.
Koris è esattamente in questa condizione, con la sensualità di una casalinga sessantenne di Voghera, di quelle che non escono mai di casa se non per comprare il detersivo, che vivono in vestaglie di colori assurdi e hanno un salotto immacolato. Con la differenza che il salotto di Koris è uno schifo, per fortuna non ha vestaglie ma si veste male lo stesso, e anziché essere murata in casa è reclusa in laboratorio.
Con l’appropinquarsi delle temperatura estive, Koris si era riproposta di cambiare la sedimentazione dei maglioni per far emergere quelli estivi, sfoderare qualche vestito e abbattere tutti quei peli superflui che la fanno connessione evolutiva fra l’uomo e la scimmia. Poi c’è stata l’ultima settimana e ti saluto buoni propositi. Insomma, una catastrofe a cromosoma XX.
Ieri sera Koris, sprofondata in una poltrona fantozziana e devastata dalla sfiga cosmica, cercava una motivazione per lavarsi i capelli e non la trovava. Nemmeno per questioni di accettabilità sociale.
Poi ha udito il seguente annuncio:
“Domani sera la Greca e l’Inglese All Black ci hanno invitato per vedere un documentario. Io vado, ma per te non mi sono impegnato, visto che sei così stanca…”
Koris ha alzato un sopraccio, alla Spock, per capirsi. La Greca era stata bollata come innoqua, ma ha recentemente perso il ragazzo (fuggito negli USA per un post-doc) e si sa che una femmina in simili condizioni è pericolosa. Specialmente se, nonostante i cinque anni di differenza, l’ultima volta pareva assumere posizioni insidiose. Soprattutto la sua concorrenza è una dottoranda in stato disumanizzato.
Koris si è infine alzata dalla poltrona.
“Dove vai?”
“A fare una doccia”
Il potere magico della doccia ha trasformato Ciospo-Koris in un individuo pulito, coi capelli quasi a posto (sui Koris-capelli vige un principio di indeterminazione), senza troppi peli e meno abbietto. Meno dottoranda e più femmina. Le magliette della Cugistra regalate a Pasqua faranno il resto. Koris ha altresì tolto gli orecchini a forma di pinguino per metterne un paio un po’ meno da under-12.

È più facile conquistare che mantenere, diceva Napoleone. Ma se è per una giusta causa, tanto vale farsi forza, alzarsi dalla poltrona e dare una spinta alla femminilità latente.