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Una presa dopo l’altra

La vita di Koris, come già ripetuto più e più volte, fa un po’ schifo. Senza nulla togliere alla meravigliosa creaturina che è l’Aliena, sia chiaro. Tuttavia quando l’esistenza si esaurisce fra un pannolino e un biberon, segregata fra le quattro mura domestiche con contatti umani risicati se non assenti… la sanità mentali un pochino ne risente. Diciamo che pare di essere al 41 bis senza sapere se ci sarà un maxiprocesso o meno, al massimo una maxicacca. Se si aggiungono nove mesi di sacrifici in crescendo in attesa che l’Aliena venisse consegnata, si ottiene una Koris sull’orlo della crisi di nervi.

Bisogna fare qualcosa, rapidamente. I ruolisti sono per lo più irraggiungibili e le varie agende non sono compatibili per fissare una sessione in tempi brevi (si ringrazia soprattutto il barbaro che non risponde mai). Speleologia per ora LOL. Le passeggiate del sabato con l’Aliena nel marsupio sono molto carine, tuttavia non contribuiscono molto al “ritagliarsi tempo come pseudo-adulto indipendente” e sono il metadone dell’attività fisica, anche se garantiscono sudate copiose. Urge una valvola di sfogo breve ma intensa.

Koris non è fatta per la palestra e la palestra non è fatta per Koris, sono due mondi incompatibili. Per un folle attimo Koris ha pensato di andare in piscina a nuotare, ma le piscine marsigliesi sono così pulite che anche le verruche si mettono le ciabatte per lo schifo. Andare a correre fa molto lockdown e con le temperature attuali è l’anticamera dell’infarto, a meno di andare a orari in cui sono svegli solo i pusher locali. Lo yoga sul tappetino del salotto è molto bello se hai una pancia di otto mesi e non puoi portarla troppo a zonzo a meno di passare per matta.

Poi Koris s’è ricordata che in un passato remoto ma non troppo arrampicava. Forse passare un’ora in una sala boulder lontani da neonati di due mesi era fattibile, necessitava poca logistica e poteva persino piacerle ancora un po’. Ha quindi mollato l’Alienottola a genitore#1, ha recuperato le uniche scarpette ancora in circolazione (in uso dallo scorso millennio), pantaloncini e maglietta ove possibile non bucati ed è andata. La sala era la stessa con cui andava assime a A&A nei foschi tempi del dottorato ed era deserta all’infuori di due detestabili marmocchi settenni (sì, l’arrampicata coi marmocchi è sempre un’esperienza contraccettiva, anche dopo aver procreato la propria progenie). Non si può dire che Koris abbia recuperato il livello del 2015, che era comunque scarsino, ma almeno si è divertita. Sempre al di sotto del livello 5a, ma per qualcuno che non arrampicava dal mesozoico è tanto di guadagnato. Koris aveva quasi dimenticato di avere dei muscoli che potevano servire ad altro che a sollevare bebé. Quando è tornata a casa non sentiva più la pressante necessità di chiudere l’Aliena nel frullatore.

Forse deve farlo più spesso, prima che la routine lavorativa torni e renda il tutto complicato. Intanto forse nel week-end italico si prova a mollare l’Aliena ai Maiores e ad andare in grotta. Restate tonnati per nuove avventure.

Attaccarsi alle prese per poi tornare da quella attaccata al biberon

Una cosa che ho imparato

Una delle ragioni per cui Koris aveva deciso di buttarsi nella speleologia (ignara di tutto il guazzabuglio pipistrellico che ne sarebbe poi seguito) era l’ossessione per il grado che stava prendendo in arrampicata. In pratica, se non riusciva ad arrampicare almeno un 6a per week-end (e non ci riusciva) non era contenta. Seguivano frustrazione, senso di inadeguatezza, insoddisfazione e allora no, grazie, ce n’è già abbastanza nella vita reale.
La grotta ha il brutto vizio di diventare monopolizzante, quindi Koris ha arrampicato sempre meno, da quell’aprile 2015, fino a lasciare le scarpette e l’imbago nelle loro saccocce. Non è nemmeno che le dispiacesse poi tanto, era un po’ come se la smania si fosse calmata e ciao 6a, ciao.
Ma un po’ di voglia è sempre rimasta, quello che mancava del tutto era l’occasione. E il partner, perché ‘thieu è una bestiola per lo più cavernicola. E siccome in arrampicata serve un partner che si conosce e di cui ci si fida, tanto vale tenersi la voglia.
Finché l’occasione non si è ripresentata.
Oggi Koris è andata ad arrampicare, dopo un sacco di tempo, sul sapone calcare di Morgiou. Senza caricarsi di particolari aspettative, perché tanto dopo due anni è già tanto se non ti marciscono i piedi dopo la prima via.
In effetti i piedi non sono marciti. Koris è pure riuscita a fare una via da prima, che onestamente dopo due anni di nulla cosmico o quasi non è proprio da buttare via. Diciamo che poteva andare peggio.
Ma soprattutto, Koris si è divertita. Perché arrampicava per arrampicare e non per dimostrare qualcosa a qualcuno. Senza l’ansia di dover fare N vie di tale difficoltà, senza la vergogna di dire “ho male ai piedi, io smetto”.
Sarà che forse la speleologia le ha insegnato che voler fare confronti è inutile, che si può andare a -500 più facilmente che a -120, e che non è con la profondità che si misura il divertimento. E quindi neanche con il grado quando si è arrampicatori della domenica. Sarà che forse ha assimiliato il contentuo e l’essenza dell’articolo “I falliti” (che in realtà è molto interessante anche dal punto di vista non arrampicatorio). O sarà semplicemente che Koris sta invecchiando e certe pratiche da chi ce l’ha più lungo le lascia ai giovani.

L’importanza della prima volta

Koris ci rifletteva mentre era appesa sabato a una corda sulla falesia di Colline de Lun: la prima volta è fottutamente importante. Soprattutto quando lasci la tua comfort zone per lanciarti in imprese semi-disperate.
Se escludiamo la parentesi dello scorso millennio, Koris ha avuto la sua iniziazione in falesia all’inizio del Sonno della Ragione. Se n’è già parlato in altra sede, ma si ribadirà qui. Finché c’era da accontentare Koris e farla salire da seconda andava tutto bene, quasi fosse un male necessario in cambio di un’assicuratrice e uno sherpa che portasse la corda. Quando Koris iniziò a voler provare a salire da prima/en tête/leading, lì si trasformò nel partner di arrampicata più sgradevole possibile, avrebbe quasi potuto scriverci una guida su WikiHow. Il greatest hits delle sue uscite migliori conta:
“Tanto è importante che io ti faccia sicura, quando si arrampica da primi non bisogna cadere”
“Io non ho voglia di passare mezz’ora a farti sicura, se non sei capace non arrampicare nemmeno, del resto sei troppo imbranata”
“O finisci la via o ti arrangi, io non ho voglia di ramazzarti i rinvii perché tu non sei capace”
Da questa iniziazione Koris non si è mai veramente ripresa, nemmeno quando arrampicava come una matta l’anno scorso. L’appresione, l’idea di tentare e non riuscire e portare via tempo prezioso alle vie altrui, il chiodo fisso dell’essere maldestra hanno continuato a perseguitarla in falesia.
A Koris era parso parecchio bizzarro il modo di fare di ‘thieu, che già in tempi non sospetti ripeteva in continuazione, con fare da chioccia, “se non te la senti, non sei obbligata ad andare avanti. Nessuno te ne farà una colpa. Facciamo speleo perché ci piace, non per farci paura inutilmente”. Koris si disse che cotanta pazienza doveva venirgli dal suo essere insegnante.
Sabato Koris è andata ad arrampicare con una certa Lisetta, una coetanea di un metreo e un barattolo che arrampica il 6c senza farsi problemi.
“In realtà sono solo sei mesi che arrampico da prima. Un giorno mi sono stufata di arrampicare solo 5c appesa come un salame e i progressi sono venuti da soli. Credo che sia stato quello il segreto: nessuno mi ha imposto di fare nulla e ho sempre fatto a sentimento, senza pressioni o gente che si aspettasse qualcosa da me”
Koris si è sentita così a suo agio da voler provare una via da prima, dopo sei mesi di niente (vabbè, sei mesi di speleo intensiva). Non c’è riuscita fino in fondo, ma per una volta si è sentita meno stressata, con la voglia di ritentare (ma magari non subito immediatamente, ecco).
E si è detta che se sulla sua strada per la falesia avesse incontrato Lisetta e non lo stronzetto strafottente, forse ad oggi sarebbe un’arrampicatrice migliore.

E il tutto in 48 ore

Venerdì sera.
Torna dal lavoro, addormentati in bus perché è venerdì sera e il venerdì sera è giusto essere stravolti. Però non troppo, eh.
Molla il surplus a casa, riparti con lo stretto necessario per andare a Vitrolles a preparare le corde per l’uscita di domenica. Che ti eri offerta volontaria, tirare bidone all’ultimo momento pareva brutto, proprio brutto.
“L’uscita di domenica sarà tranquilla e anche quella della successiva. Quella della settimana dopo, nel Var, però te la sconsiglio, l’entrata della grotta è molto stretta. Per darti un’idea, la cavità si chiama La Tomba e quella a fianco, ancora più stretta, Il Sarcofago”, perché l’umorismo del Var non si smentisce mai.
Torna a casa alle nove, dopo aver ribadito di prendere delle corde belle lunghe perché non sai ancora volare. Preparati salsiccia e patate fritte mentre guardi Crozza.

Sabato
Sveglia alle sette e mezza perché quando Bazilla ti scriveva “MASOC!” sulle relazioni di laboratorio mia aveva torto.
Che si fa, si va ad arrampicare? E certo, mica ti svegli all’alba per stare sul divano.
Raccatta cibo e altre chincaglierie, butta tutto nello zaino da arrampico, recupera la Ya(xa)ris e vai all’appuntamento agé del sabato.
Si decide di andare a Lascours dove non c’è parcheggio, quindi abbandona la Ya(xa)ris in centro. La macchina per vendetta decide di mettersi in riserva.
“Va bene, andiamo a Lascours, ma io faccio solo cose facili che ho un dito in meno e domani devo essere in forma”
E poi stocazzo, insomma, ritrovati appesa a un 5c+ in strapiombo e un 6a del disagio, perché con te stessa sei donna di parola.
Torna a casa in ritardo sulla casella di marcia, fatti una doccia, preparati ad uscire con Van.
Passa una serata simpatica fra giochi di società e perfetti sconosciuti. Carino, ma coi ruolisti veri è un’altra cosa.
Alle undici ripieghi a dormire perché ti si chiudono gli occhi. Mentre stai per addormentarti ti ricordi che il cibo ingurgitato nella giornata ammonta a due barrette di cereali, una manciata di albicocche secche e qualche fetta di salame.

Domenica
Ti svegli da sola alle otto perché le dormite mattutine sono fuori moda. Ti illudi dunque di avere un sacco di tempo prima dell’appuntamento in grotta all’una e mezza.
Alle nove vai a fare la spesa che la dispensa langue.
Poi pulisci casa che sta diventando un merdaio. Poi fai una lavatrice (che tu non lo sai ancora, ma resterà da stendere).
Sono le undici, c’è ancora un sacco di tempo, quindi decidi di andare a sfamare la macchina. Che in fondo mica ci si può lamentare, la Ya(xa)ris aveva visto l’ultimo pieno il 13 dicembre.
Mentre torni a casa scopri che l’amica A. ha troppo da fare e non verrà in grotta, però può essere spiritualmente presente prestandoti la tuta degli omini deformi (quella che ha le gambe di tredici centimetri e il tronco di tre metri).
Arrivi a casa dopo mezzogiorno e mezza e ammetti candidamente a te stessa di essere in ritardo. E il sacco da speleo non è pronto. Quindi prepara una pasta a cazzo e il sacco di conseguenza, cercando solo di non mettere un uovo nello zaino e il discensore in padella.
All’una e mezza riesci ad essere puntuale. Si parte per la montagna della Sainte Baume, in cui fa un caldo assurdo.
“Forse ti ho trovato una tuta per te, è di uno della sezione ragazzi a cui è diventata piccola. Però è taglia dodici anni”
“Dodici anni è la mia taglia preferita”
Arriva ai due buchi gemelli, Les Aubagnais e La Sainte Thérèse. Il pozzo di 36 metri di Les Aubagnais mette un po’ di disagio, però poi passa. Arriva ai piedi di una gigantesca cascata di calcare bianco, per scoprire che l’equipaggiamento è vetusto e non permette di continuare. Fai marcia indietro.
“Possiamo andare alla Sainte Thérèse, sarà la tua prima strettoia”
Però c’è un vantaggio all’essere tappi: per quella strettoia è un’autostrada. Tu sei maldestra come una Panda senza servosterzo, ma è un altro discorso. Scendi fino in fondo alla Sainte Thérèse, impara manovre nuove. Risali chiededo di disequipaggiare tutto perché non sei più a disagio. Anzi, ora che l’imbrago non ti sega più una coscia sei quasi comoda. Esci dal buco dopo aver spiato un pipistrello che si sveglia dietro una vela di calcare.
Arriva a casa alle otto passate. Fatti una doccia per salvare le apparenze, scoprendo di avere più lividi che ginocchia. Ora puoi andare a dormire.

Per fortuna oggi è lunedì e ci si riposa.

P.S. Koris deve cominciare a riflettere a una categoria apposta per le uscite speleo. Suggerimenti?

Chateauvert 2015

La proposta del capogruppo di arrampicatori arriva così, all’improvviso.
“Domenica gran sole e niente vento, andiamo a Chateauvert?”
Koris credeva che accettare tale proposizione la avrebbe causato turbe mentali a non finire in posta celere direttamente dal passato. Un po’ come quando era andata a vela dopo essere stata scaricata dal Senzaddio, la circostanza in cui passò un tempo irragionevolmente lungo ad autopsicanalizzarsi per capire se era nostalgia, senso di colpa o testa di minchia (nel dubbio, sempre la terza).
E invece sticazzi.
Sticazzi perché si cresce, alemeno di testa se le membra non collaborano.
Sticazzi perché se proprio ci si deve crogiolare, che sia al sole e non in ricordi del piffero (“La merda più la si rimescola e più puzza” suggerisce l’Ampero-saggezza popolare).
Sticazzi perché dopo un certo lasso di tempo tutto cade in prescrizione e diventa una macchietta da serie blog.
E forse Koris è persino meno scarsa di quanto fosse tempo fa, perché i chiodi non sembrano più lontani sei metri, il calcare non è più brutto&cattivo ma si rivela pieno di prese simpatiche, i piedi reggono se ci si crede abbastanza (approcci filosofico-mistici all’arrampicata sulla falsariga del “Fidati dei tuoi piedi” oppure “Credi alla tua mano destra”).
E anche se Koris cade non è mica un problema, c’è la corda apposta.
Numeri da circo di Koris che si regge su un braccio solo con gambe posizionate a caso. E poi urla, come secondo la migliore tradizione.
Gente che dice “Prova questa via, sembra facile!” e poi è un 6b+ pieno di polvere.
Quello che fa l’illustratore e racconta che sta facendo la trasposizione in fumetto di un romanzo di fantascienza e Koris che non credeva che i fumettisti esistessero veramente fra la gente comune.
Sedici gradi che al sole sembrano trenta, i pettirossi che vengono a mangiare le briciole, le farfalle che si posano sulle corde. La primavera è qui anche il Var è deserto e tutti gli abitanti paiono essere fuggiti altrove.
Insomma, Chateauvert così divertente come non l’avete mai visto. E Koris, facendo pace con le falesie in riva all’Argens, si chiede perché prima dovesse essere necessariamente dolore, lacrime et sanguine.
(No, in realtà sa benissimo il perché, però è un altro episodio della serie Il Sonno della Ragione e fare gli spoiler non è educato)

But time… it went on,
Minutes… they ran too fast.
Like you they were gone…
Into the past…

La stagione del piumone

La stagione del piumone
viene e va
all’improvviso senza accorgerti
la vivrai
ti sorprenderà
(Liberamente adattato da Battiato)

Se domenica ti aggiravi tronfia e semi-ignuda dopo esserti fatta Palmito (il terzo 6a, zum zum zum!), mercoledì ci voleva altro che il pardessus (pronunciato alla francovalbormidese del dialetto di Montenotte, in Talebragnia inferiore).
Detta in altre parole, è arrivato il Mistral, ha scacciato lo scirocco che ci sciroccava da un paio di mesi, il cielo è tornato blu, l’umidità è a livelli veramente provenzali.
Epperò fa freddo. Evitiamo detti inflazionati da Ned Stark, citiamo l’Amperodattilo di qualche anno fa: “l’inverno ci sta piombando addosso come ketchup su un hamburger”.
Koris dal canto suo ha tirato fuori il suo lato più sexy con l’arrivo dei rigori di stagione: il pigiama di pile coi pinguini (ex pigiama dell’Amperodattilo) e la vestaglia di pile rosa coi coniglietti (regalo dell’Amperodattilo). Ovvero, è la stagione del pile. E del vestiario passato dall’Amperodattilo.
Koris ha iniziato un’alimentazione a base di vellutate di qualunque verdura le passi sotto il naso. Per ora è stata la zucca, ma da quando ha scoperto che aggiungendo una goccia di bicarbonato nel cavolo rosso la vellutata diventa blu, si è detta che si convertirà al cavolo. Che poi a pensarci bene il cavolo rosso è viola. Botanici daltonici. Se calano ancora un po’ le temperature Koris si convertirà alla salutare dieta savoiarda, ovvero patate al forno con formaggio a pranzo, cena e merenda. Un toccasana per avere il culo della Tacchettina.
Nel lassismo dei costumi (e delle mutande, nel caso del culo di cui sopra), Koris medita di comprare le prese col timer, per poter programmare il termosifone elettrico della camera perché si accenda mezz’ora prima del Koris-risveglio. Così da dare l’idea di svegliarsi in Provenza e non sull’Isola Elephant. In poche parole, il capitalismo sfrenato ha fatto breccia con gli spifferi, l’economia del mercato assassino riscalda gli animi e il rigore materiale ha ceduto sotto i rigori dell’inverno. Ma in fondo Koris può permetterselo e meglio un termosifone oggi che un reumatismo domani. Facendo ciao ciao con la manina alla Georgia Australe.

Growing old

Growing old, ovvero invecchiare. Il che significa passare il sabato a ciondolare per casa facendo un lavoretto qui, un altro là, inconcludenti come gatta Spin.
Significa anche decidere che si è giovanissimi, andare dal gruppo di arrampicatori a spadroneggiare e dire che vuoi rientrare entro le 18, che ci hai da fare.
Significa anche che nonostante la situazione paresse volgere al peggio dal punto di vista arrampicatorio, ad arrampicare ci vai eccome. E fai anche la fichissima comportandoti come un’abbruttita dalla vita sul terzo 6a. E poi prendersi lo zaino e cambiare sito, perché al sole fa ancora caldo.
Significa anche farsi portare a casa di Van a giocare di ruolo, che il maître de jeu ha la vena sadica/omicida e se arrivi in ritardo magari decide di usare il tuo personaggio come vittima designata. E invece finisce che il tuo personaggio è l’uno che resta in piedi in tutta la compagnia e probabilmente diventerà un necromante a capo di una banda di non morti. La vita, ma anche la non-vita, a volte è ingiusta.
Significa anche tornare a casa scoprendo che c’è una tangibilissima possibilità che si faccia una serata gioco venerdì a casa tua. Solo che tu non ne sapevi niente. E ti rimproverano del tuo immedesimarti troppo nella tua elfa bionda.
Significa anche sapere che è l’una, doversi ancora fare la doccia, asciugarsi i capelli e lavare i piatti della colazione. Una gioia.

Ma invecchiare significa soprattutto non voler esistere il lunedì mattina dopo cotanta domenica, correre seriamente il rischio di addormentarsi ovunque (sia esso sul bus, sul cesso o in riunione) e dirsi che ormai l’età avanza e forse è venuto il momento di darsi una regolata. E lasciare il testimone di Weekend Warrior agli under-25.

Piesse: se poi mentre cerchi “tecniche per recuperare il boro radioattivo” Google ti suggerisce “tecniche per recuperare il tuo ex”, capisci che forse era meglio se fossi rimasta a recuperare le ore di sonno mancanti.